HomeEditorialiAndate in pace, le esequie della Fondazione TaoArte ai Colli San Rizzo

Andate in pace, le esequie della Fondazione TaoArte ai Colli San Rizzo

Andate in pace, il monologo è finito. Al calare della sera di un lunedì di fine giugno Taormina lascia la Fondazione TaoArte e la consegna alla Regione Siciliana. Con l’estrema unzione consiliare si chiude dopo 5 anni la breve vita di una Fondazione a due che è nata male ed è finita peggio, così si avvia al tramonto la lunga parabola di un ente che dal 1983 in poi ha rappresentato per diverso tempo un elemento di orgoglio per il territorio, con la qualità importante ed apprezzata della sua offerta culturale, e che poi, da diversi anni a questa parte, è diventato altro, ha perso la sua anima e la sua identità tra i meandri di una gestione palermocentrica che se ne frega delle istanze della città, mette i soldi e si ritiene legittimata a fare e disfare tutto a proprio piacimento.

E allora qualcuno, all’ombra di Santa Rosalia, si è messo a ridere quando il nuovo sindaco di Taormina, Cateno De Luca, annunciava che avrebbe portato fuori Taormina da TaoArte. Detto, fatto. Il 19 giugno 2023 Taormina lascia la Fondazione con il voto del Consiglio comunale e se ne va 48 ore dopo la revoca della concessione in comodato (gratuito) del palazzo dell’ex pretura. Il “matto” lo ha fatto davvero, la sfida alla Regione è lanciata. Ed è quella stessa Regione – ricordiamolo alla noia – che ad oggi non versa da tempo immemore un euro alla Città di Taormina sul Teatro Antico, che ha spogliato interi reparti dell’ospedale di Taormina, si è issata al timone di TaoArte e ha preso a schiaffi Taormina bocciandole pure la richiesta di modifica del CdA. La dura legge del contrappasso ora si materializza e trasforma quegli schiaffi in un calcio nel sedere alla protervia dell’ospite che si è convinto di comandare indisturbato in casa altrui.

La storia di TaoArte è stata bellissima ma il presente è un’altra storia, declinazione sbiadita dei tempi andati. TaoArte era un’eccellenza, è diventata un amarcord che ogni anno ci racconta la favoletta di un rilancio che non c’è. Dovrebbe essere un valore aggiunto ma non lo è. Ma soprattutto è un ente che ha poco o nulla a che vedere con la Città di Taormina se non il fatto che gli spettacoli li organizza al Teatro Antico. E’ un taxi che sbarca da queste parti gente di Palermo, Roma, Messina e Catania che – repetita iuvant – sono estranei al contesto.

Si può essere dispiaciuti per l’uscita di Taormina da una Fondazione dove l’altro socio (ospite) spadroneggia e spernacchia una richiesta della città di bilanciare i poteri? No. Può essere considerata una scelta sbagliata il divorzio da un socio che non conferisce neanche il suo bene e poi, nel momento della tempesta, vorrebbe dare ad una Fondazione che sede a Taormina un immobile situato nei Colli San Rizzo di Messina? Noi neanche ci crediamo ma se mai fosse vera sarebbe un’idea da Tso immediato per chi l’ha concepita.

Ecco perché la misura è colma. Ognuno va per la sua strada. In questa storia, d’altronde, di eterno ci può essere soltanto la bellezza di Taormina, che ha sempre resistito alle spallate della mediocrità umana e sopravvivrà anche ad una Fondazione che va in pezzi.

La spina la staccano De Luca, la sua Amministrazione e il Consiglio comunale ma i chiodi nella bara della Fondazione chi li ha voluti? Se li sono cercati i vari attori palermocentrici e romanocentrici che si sono fidati di un eccesso debordante di predominio. C’era la consapevolezza che, alla fine della fiera, nulla di così eclatante sarebbe accaduto. C’era quasi l’idea che i figli di Santa Rosalia e della Lupa siano intoccabili, a maggior ragione nella piccola Taormina. San Pancrazio, poi, è sempre stato accogliente con i forestieri, ma in questo caso è toccato allo “straniero” De Luca far capire che il sindaco è stato legittimato dal consenso dei taorminesi, altri no.

Ecco perché questa Fondazione a due è finita male e si è arrivati al momento delle esequie ai Colli San Rizzo. E’ mancata la volontà di fare un passo indietro e comprendere che si è esagerato e che non poteva bastare qualche fesseria di circostanza di inizio legislatura per prendere per il deretano De Luca e i taorminesi e continuare a tenere la città al guinzaglio.

Bisogna sempre guardare negli occhi le persone e avere l’onestà intellettuale per poterlo fare. A volte l’arroganza del potere e la sazietà del poltronismo portano all’eccesso, e possono giocare brutti scherzi.

Taoarte è finita nella mani di gente che – per dirla in gergo musicale – non ha avuto la capacità di suonare le corde di un bel violino e si è mostrata non all’altezza di farlo diventare uno stradivari. E’ avvenuta un’operazione al ribasso, dall’optimus verso la mediocrità.

Di fronte a questo stato di cose non era più una scelta ma una via obbligata l’idea di cercare di riportare tutti alla dura realtà del rispetto della territorialità e di una bandiera, che non è quella della Regione. Qui non conta il peso di chi ti ha messo lì su una poltrona, conta la capacità di entrare in punta di piedi, diventare strumento della collettività e non delle segreterie di partito. Bisogna appagare i clienti. E chi è il cliente? La gente, il pubblico inteso non solo come quelli che vanno al Teatro ma anche come la comunità locale.

Ora è suonata la sveglia, con l’auspicio che questa vicenda possa insegnare qualcosa e che ci possa essere una ripartenza su basi ben diverse. In calce alla delibera del Consiglio comunale di Taormina c’è una postilla: “Belli, la festa è finita. Qui non siamo fessi e neanche coglioni. Bisogna misurarsi con il territorio e rispettarlo. Volete minimizzare Taormina e la sua centralità emarginandola? Non funziona così, fine della storia”.

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