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Fischi a Geolier al Festival(bar), l’Italia razzista rosica

Epilogo imbarazzante nella quinta serata del Festival(bar) di Sanremo. I lettori di TN24 sanno già che apparteniamo all’intelligente minoranza di quel 25-30% di italiani che non guarda questo festival. Una minoranza sparuta ma non troppo che se ne frega della febbre da omologazione che pervade il Paese in questa settimana e non ascolta le scadenti canzoni scelte da Amadeus & company. Detto ciò, apprendiamo che all’epilogo della serata dedicata alle Cover, la vittoria di Geolier (con Gigi D’Alessio, Guè e Luché) viene accolta da bordate di fischi ed effettivamente la Rete documenta l’accaduto in modo impietoso. I fischi, tra l’altro, sono pure (o soprattutto) partiti dalla sala stampa, terra di nessuno di quella categoria dei giornalisti – quelli di oggi – che probabilmente potrebbero lustrare le scarpe a quelli che un tempo il mestiere lo facevano con altra classe, altro spessore e altra onestà intellettuale.

Così, a notte fonda, quando Amadeus e Lorella Cuccarini hanno annunciato la vittoria di Geolier, l’Ariston è impazzito. Qualcuno sostiene che fossero fischi di delusione perché si preferiva la vittoria dell’altra favorita per la vittoria finale, Angelina Mango. Poco male, e poco ci importa. Sia dalla platea che dalla galleria si sono registrati fischi sonori al momento della proclamazione e dell’ingresso dei vincitori.

Il successo di Geolier è arrivato all’esito di un televoto che vedeva impegnata la giuria delle radio e la sala stampa, al tramonto di una serata che ha proposto un viaggio nella memoria collettiva, un karaoke e una cavalcata attraverso tra ricordi e generazioni, che ha mostrato cos’è stata la canzone e cosa si spera possa tornare ad essere, sperando che si vedano più cantanti e meno sfilate di facce, mood e abbigliamenti improponibili. Sul palco, per le cover, c’erano grandi artisti del calibro di Gianna Nannini a Roberto Vecchioni, Umberto Tozzi, Riccardo Cocciante e Gigi D’Alessio. Pure il ritorno a sorpresa del maestro Beppe Vessicchio e sul pianeta terra sono tornati i Jalisse con Fiumi di parole. E c’era Lorella Cuccarini, che vale dieci volte più delle pseudo-conduttrici di tutti i più recenti festival.

Qualcuno che aveva più sale in zucca dei contemporanei diceva “De gustibus non est disputandum”, sui gusti non si deve discutere. Ognuno la interpreti come vuole. E’ una questione di gusti. Geolier può piacere, può non piacere. Ed è giusto e legittimo che ci siano persone a cui non piace il brano di questo giovane artista, noi l’abbiamo ascoltato e francamente sembra perlomeno superiore alla media delle altre canzoni, destinate a sparire dalla circolazione da qui a qualche settimana, non appena sarà sfumato l’italico eco “pappagallesco” sanremese.

Geolier, come tutti, merita rispetto, anche perché il Festival(bar) di Sanremo dal dopo-Baudo in poi – e ancora adesso – ha proposto una lunga serie di fricchettoni, fenomeni da baraccone e taralli vari, che non avrebbero varcato in altre epoche nemmeno il portone d’ingresso dell’Ariston. Ricordiamoci che la canzone napoletana può vantare una straordinaria tradizione, può fare scuola e dopo-scuola a tutti. Ha una lunga storia che non ha bisogno di commenti e presentazioni e chi non la conosce vada a studiare e a informarsi.

Il punto è un altro e sta proprio qui. Inutile girarci attorno, i fischi sono per il napoletano Geolier che canta in napoletano e per un napoletano primo in classifica. Tutto il resto è poesia. Ci sta anche il fischio di disapprovazione, è accaduto anche in passato. Ma qui – come dimostra il video, si sono scatenati gli sconsolati “Non è possibile, non è possibile”, vergogna” arrivando pure ai “buuu“. Ed erano gli stessi “buuu” che intonano gli invertebrati negli stadi contro i calciatori di colore e contro il Napoli. Eccola l’onda lunga di una parte rosicona e rancorosa del Paese che non ce la fa a trattenersi e ad un certo punto esplode. E d’altronde tutti ricordiamo (noi certamente si) l’Italia che ha rosicato di brutto, non più tardi di un anno fa, per il Napoli campione d’Italia, con una larga parte di Paese schierato come un plotone d’esecuzione contro i partenopei, a suon di fischi in ogni stadio e aggrappandosi persino a un corpo speciale di gufi. Erano li ad aspettare invano che l’allora capolista crollasse, sino a doversi arrendere allo svenimento collettivo delle ore 22.37 del 5 maggio 2023 a Udine. Napoli e il Napoli hanno dato dimostrazione di come si vince con una festa che, non a caso, si è celebrata nel mondo e qui, in Italia, alcuni poveracci a dichiarare il “divieto di festeggiare” per i napoletani, che poi quelle piazze se le sono prese di prepotenza e con gioia. Più di un semplice scudetto, uno schiaffo all’Italia farlocca che vedeva in lotta con il Napoli (bilancio in attivo) le corazzate del Nord indebitate all’inverosimile, l’Inter (807 milioni di passivo), Juventus (-791 milioni) e Milan (-250 milioni).

E l’apoteosi di quel Napoli dove si celebrò? A Udine, dopo al triplice fischio dell’arbitro Abisso (siciliano, per ironia della sorte) i sostenitori di casa scesero in campo per aggredire a cinghiate i napoletani che festeggiavano. Sarà pure una minoranza ma è la stessa che poi sempre a Udine un paio di settimane fa ha costretto il portiere francese Mike Maignan a lasciare il campo per protesta dopo i fischi e buuu assordanti, sempre nello stesso stadio.

E da Udine a Sanremo la storia ritorna e si ripete. Torna in scena quella rumorosa “minoranza di cretini”, i “goliardici” come qualcuno li ha definiti per alleggerirsi i pensieri. Si può pensare che Geolier fosse il migliore o che non fosse lui il titolato a vincere ma i verdetti si rispettano, sempre. Non solo quelli delle aule di tribunale.

Hanno detto e scritto la qualsiasi Geolier ragazzo di 23 anni di Secondigliano, definendolo uno con la faccia da “prediciottesimo camorrista”. L’Italia dei razzisti sale in cattedra e si prende la scena del Festival(bar). E’ quella che ci tiene a guardarsi allo specchio senza appannamento, con un senso sfumato di vergogna umida. Siamo una Repubblica che galleggia attorno a quelle minoranze di “cretini”, tra bastone e carota, vengono stigmatizzati a intermittenza e convenienza, poi in un modo o nell’altro li si assolve sempre o quasi. Sono sempre “pochi” gli “individui” da cui l’Italia prende (strumentalmente) le distanze, a cose fatte. In verità non si ha piena coscienza (o forse quella coscienza c’è eccome) di una ignoranza collettiva, assai più diffusa. I razzisti sono sempre gli altri. Il vicino, il dirimpettaio di pianerottolo, il barista protofascista, il cameriere trumpiano a sua insaputa, il ministro Tizio e il deputato Caio. L’italiano adotta la metrica dei compartimenti stagni per trarsi in salvo.

L’imbecillità è un reddito morale di cittadinanza che siamo costretti a pagare noi a loro, i suddetti soggetti che mandano in scena uno spettacolo indegno come quello di ieri sera all’Ariston. Nel frattempo l’Italia colleziona figure di mer*a col pratico raccoglitore in omaggio. La nuova figurina cult per gli appassionati è quella dell’invertebrato che alla proclamazione di Geolier scatena la sua ugola cialtrona e fa “buuu” a Sanremo. Godi fenomeno, il mongolino sanremese è tuo. Napoli e i meridionali offrono limoni.

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