HomeEditorialiDa portavoce a leader senza voti: l'illusione di Tajani

Da portavoce a leader senza voti: l’illusione di Tajani

L’appuntamento è fissato per il 24 e 25 febbraio. Non si comprende ancora se sarà un congresso o una veglia funebre ma Forza Italia si è data delle date (perdonate il gioco di parole) per eleggere un capo dopo la dipartita del suo leader, Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha creato Forza Italia e senza di lui, di fatto, il partito esiste soltanto perché si è votato un anno fa e c’è ancora una legislatura che va avanti, con i relativi parlamentari in carica. Per il resto i sondaggi già anticipano un tracollo che sarà inesorabile per chi arrancava già al 6,5% quando Berlusconi, seppur malato, era ancora in vita.

Nel frattempo c’è Antonio Tajani reggente, che si è candidato a guidare in via stabile Forza Italia. E’ il sogno legittimo, ma decisamente fragile, del gregario di palazzo, un soldato che non ha neanche il suo voto ma coltiva l’ambizione di mettersi le stellette del capo.

La storia politica di Tajani, 70 anni proprio oggi, 4 agosto, romano di origini ciociare di Ferentino, è legata agli albori di FI. Giornalista, prima ai microfoni dei Gr Rai e poi alla guida della sede romana de ‘il Giornale’, l’attuale numero uno azzurro passa alla politica con Berlusconi diventando il suo portavoce, raccogliendo il testimone della breve esperienza di Jas Gawronski a Palazzo Chigi. Eletto eurodeputato per la prima volta nel 1994, Tajani farà dell’Europa la “sua casa” con una lunga carriera che lo vedrà arrivare ai vertici delle istituzioni. Alle amministrative del 2001 è candidato a sindaco di Roma per la Casa delle Libertà, dove raggiunge il ballottaggio da cui però esce sconfitto a favore di Walter Veltroni (venendo comunque eletto in consiglio comunale). Due volte commissario europeo, (ai Trasporti 2008-2010 e poi all’Industria 2010-2014) e vice presidente della Commissione e poi presidente dell’Eurocamera nel 2017.

Punto di riferimento del partito Popolare europeo, nel 2002 diventa uno dei vicepresidenti. Con l’avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi, Tajani viene indicato nella rosa dei nomi di Fi per la composizione della squadra di governo. Alla fine resterà fuori dall’esecutivo, ma Berlusconi lo stesso giorno in cui sono resi noti i ministri, lo nomina coordinatore unico del partito, carica che si aggiunge a quella di vicepresidente ottenuta nel 2018.

Alle ultime elezioni, Tajani viene eletto alla Camera ed entra nel governo Meloni con l’incarico di vicepremier, ministro degli Esteri e capo delegazione della compagine azzurra. Da ragazzo militò nel Fronte Monarchico Giovanile, è laureato in Giurisprudenza, parla inglese, francese e spagnolo, è sposato, ha due figli. Molto riservato sulla sua vita privata, è impegnato nel sociale con il sostegno ad una comunità di recupero per tossicodipendenti del frusinate a cui – ha annunciato qualche anno fa – devolve la sua pensione da ex vice presidente della Commissione europea.

Figura d’esperienza, profondo conoscitore del mondo di Forza Italia, persona distinta e stimata per la sua correttezza, che in politica è di questi tempi merce rara, Tajani avrebbe tutto sul piano umano e anche politico per guidare il partito di Berlusconi e che rimane indelebilmente ancora legato al ricordo del defunto fondatore. Tanto più che Tajani gode della stima della famiglia Berlusconi e sono stati i figli a benedirne l’indicazione a Caronte azzurro del dopo Silvio.

Il problema è che chi nasce numero due non diventa uno. Quasi mai avviene e non sembra questo il caso. E’ una legge non scritta che però esiste. C’è una linea sottile tra chi comanda e chi esegue, tra chi ha l’abitudine alle scelte in prima linea e chi, invece, è rimasto nelle retrovie a dipendere dalle valutazioni altrui. Tajani è il perfetto gregario che ha maturato un curriculum ineccepibile, anche per i ruoli che ha occupato su indicazione di Berlusconi, può vantare la stima in diversi ambienti europei ma difetta di una cosa fondamentale: non ha voti e non può sperare di trovarli alla guida di una Forza Italia che non esiste più e perderà i suoi voti in favore di Fratelli d’Italia, della Lega ed in parte anche a vantaggio di altri partiti dell’area centrista. Gli italiani voterebbero un non leader di un partito orfano di Berlusconi? La risposta è abbastanza scontata.

Il buon Tajani rischia di diventare l’agnello sacrificale, se non il becchino, di un fallimento già scritto, l’inizio di una fine che verrà certificata per FI quasi certamente già all’esito delle Europee. L’uomo della Farnesina è un politico conosciuto ma non è una figura popolare e carismatica, e difficilmente potrà diventarlo all’alba dei 70 anni. Senza voti non si canta messa.

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