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A chi toccherà dopo Giulia? Ergastolo e basta attenuanti o le bestie non si fermano

La storia si ripete, la trama non cambia. Ancora una donna che soccombe, ancora un uomo che non accetta l’addio e sfoga la sua follia nella maniera più brutale contro la sua ex, strappandola alla vita. Giulia Cecchettin è stata uccisa da svariate coltellate che l’hanno colpita alla testa e al collo. È quanto emerso dall’ispezione cadaverica esterna, dalla quale è emerso che la giovane presentava anche numerose ferite da difesa alle mani e alle braccia.

Per rendere il senso di una crudeltà bestiale che – almeno per come la pensiamo noi – non può trovare alcuna giustificazione alcuna, basta raccontare la dinamica di questo ennesimo femminicidio. L’ha abbandonata al bordo della strada e l’ha lasciata rotolare lungo un dirupo per una cinquantina di metri, fino a quando il corpo di Giulia si è fermato in un canalone. Questa è la ricostruzione fatta dalle forze dell’ordine di quanto avrebbe fatto il suo carnefice. La strada dove è stata trovata Giulia nel periodo invernale viene chiusa fino al 15 aprile, perché impraticabile. Circostanza che – viene fatto notare dai soliti retroscenisti che preparano il terreno alle attenuanti – non è detto che il giovane sapesse Fatto sta che il corpo è stato trovato da un’unità cinofila della Protezione civile in condizioni che non è difficile immaginare.

«Bisogna capire bene quello che è successo prima di trasformare lui in un mostro, come sta già avvenendo sui social; potrebbe essere stata una fatalità magari lui non voleva farle male», affermano i genitori del carnefice.

La verità è che non c’è molto da capire. Siamo di fronte ad un quadro sconcertante di violenza senza limiti, casi di maltrattamenti, stalking, stupri e delitti spietati che lasciano dolore e orfani di femminicidio. Siamo arrivati al tragico punto di non ritorno. E’ arrivato il momento di agire con fermezza e stroncare l’escalation di vessazioni mortali degli uomini che confondono l’amore per una donna con l’ossessione e pretendono la possessione della propria compagna o della loro ex. Sono uomini che non sono nemmeno degni di essere chiamati tali, rendono asfissiante e martellante il tentativo di tenere in piedi un rapporto finito e se vengono respinti, lo spingono alle estreme conseguenze, scatenano l’odio e il delirio che prende il sopravvento si traduce in una furia che stronca la vita delle vittime. Prima le minacce e poi il delitto, è un rituale agghiacciante che si intensifica e si fa sempre più frequente, un’emergenza per un Paese che non può continuare a fare finta niente e non può accettare questa barbarie.

Ogni 3 giorni viene uccisa una donna e ogni 3 giorni rimane orfano un figlio. La cultura della violenza in Italia viene paradossalmente legittimata se si pensa che sino al 1981 – non ieri ma neanche un secolo fa – esisteva ancora il delitto d’onore, come se uccidere fosse una questione di lesione dell’onore. E ancora oggi i mostri ne fanno una questione personale, diventano bestie spietate di fronte al rifiuto incrollabile delle loro vittime, costrette a subire crimini psicologici e fisici.

I rapporti conflittuali approdano sempre più spesso alle estreme conseguenze e la violenza si conferma un fenomeno strutturale che riguarda tutti. Non è un problema delle donne, è un problema degli uomini.

Non c’è molto da indagare nel profondo delle relazioni intime per comprendere dove e perché la violenza si insinua originando la spirale del male che compromette l’esistenza. Non ci si può fermare alle indagini psicologiche di fronte a situazioni in cui lo schema è spesso lo stesso: lui viene rifiutato e decide di picchiarla o peggio ancora uccidono la malcapitata, “rea” di aver troncato la relazione malgrado appassionati e minacciosi tentativi di riportare la donna a se. Il rifiuto diventa il tormento della donna, ma soprattutto il detonatore dell’ira dell’amante. Si arriva all’appuntamento con la morte, con la richiesta di un ultimo incontro, “per chiarire”. Ma quell’incontro si rivela fatale e anziché il chiarimento, il carnefice premedita l’assalto conclusivo alla libertà e alla vita della donna.

Le normative attuali hanno fallito, non bastano, di certo non hanno fermato l’emergenza del femminicidio e non hanno scalfito il delirio degli uomini che ritengono di poter avere potere di vita o di morte sulle donne. Serve il coraggio di una stretta senza precedenti per salvare altre vite in pericolo, infischiandosene dei soliti finti moralisti che oggi piangono Giulia Cecchettin e le altre donne e che, poi, domani chiederanno che vengano rispettati i diritti degli assassini. Ma che diritti possono avere quelli che uccidono? Cosa possono pretendere gli aguzzini se non la prospettiva di dover andare a marcire in prigione sino all’ultimo dei loro giorni, sapendo che in alcuni Paesi la legge prevede anche di peggio. Non sarà semplice questa battaglia e bisogna partire da una cultura della non violenza, sin dalle scuole. Ma la soluzione non può che essere intanto la certezza della pena, partendo da una ineludibile premessa: zero attenuanti per chi uccide, ergastolo senza possibilità di scappatoie, senza sconti di pena e le solite “furbate” all’italiana, come le perizie psichiatriche per dimostrare la non imputabilità dell’assassino.

Non si può più consentire che un uomo si arroghi il diritto di togliere la vita a una donna e che finisca persino per dire, come ha fatto negli anni scorsi, l’autore di un efferato delitto: “E’ il mio destino che mi è toccato e di cui sento di non avere la minima colpa”. O si cambia e si inasprisce la pena per gli autori di queste reati o si continuerà a lasciare impuniti una lunga serie di bestie che non hanno alcuna pietà per le proprie vittime e che sino ad oggi colpiscono anche perché sono convinti di farla franca. O si dà una svolta netta o altrimenti rimarrà il Paese della retorica del giorno dopo, che piange le sue vittime dopo aver fatto poco o nulla per salvarle e per fermare i mostri.

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