HomeEditorialiI comici di Putin non fanno ridere e hanno toppato

I comici di Putin non fanno ridere e hanno toppato

Il Paese dei polveroni e dei chiacchieroni – e ovviamente parliamo dell’Italia – ha sollevato un vespaio per la telefonata di due “comici” al primo ministro italiano. Grave, senza alcun ombra di dubbio, che due scemi possano eludere allegramente la sicurezza, farsi beffa dei protocolli e spacciarsi per alti diplomatici africani, riuscendo così a parlare con un capo di governo. Poi, ovviamente, si è scatenata la polemica contro Giorgia Meloni e il resto è storia. Nell’Italia del giornalettismo in modalità cassamortari, tuttavia, si è dato poco spazio e ancor meno attenzione al vero punto importante di quella telefonata. Ci si è accontentati di far passare il messaggio che la telefonata sia partita da due cretini che per passarsi un pò di tempo hanno architettato una telefonata fake, uno scherzo al primo ministro italiano. Stranamente i due tizi sapevano perfettamente le posizioni (politiche) di Meloni come fossero due russi di Latina. L’avranno studiata, si saranno preparati. Eh sì, è probabile.

Ma questa storia porta in altre direzioni, anzi in una che è chiara come l’alba di Vasco Rossi ed è la strada per il Cremlino. Che ci sia stato lo zampino di Mosca dietro la telefonata di questi due allegroni? Il sospetto che il tranello escogitato (o soltanto messo in atto) dagli impostori russi del duo Vovan & Lexus nei confronti di Giorgia Meloni non sia andato a buon fine, affiora e va di pari passo con il malumore della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca. La Maria Zakharova era alquanto incazzata e si è affrettata a far sapere che il governo russo non c’entra con Vovan e Lexus.

In realtà, soprattutto sulla più insidiosa delle questioni poste dal fantomatico leader africano (dietro cui si celava uno dei due comici simpatizzanti per Putin): quella che poneva la “causa” ucraina non come una più che legittima reazione all’invasione militare russa ma come una sorta di tributo al culto per il leader ultra-nazionalista ucraino e collaborazionista Stepan Bandera (colui «che la Russia presenta come Hitler», recitava l’impostore al telefono). “Non sono d’accordo su questo», ha replicato la presidente del Consiglio nella telefonata fake del 18 settembre scorso. Al contrario, «penso che il nazionalismo sia un problema che ha Putin”. Niente da fare per le ulteriori obiezioni del finto interlocutore: per Meloni gli ucraini “stanno facendo quello che devono fare, quello che è giusto fare, e noi cerchiamo di aiutarli”. Insomma i comici che speravano di fare il colpaccio, hanno fatto fiasco.

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