HomePoliticaFessi e presuntuosi: così la politica taorminese si è suicidata

Fessi e presuntuosi: così la politica taorminese si è suicidata

TAORMINA – Lo avevamo scritto non adesso ma diversi mesi fa che se Cateno De Luca avesse perso le elezioni Regionali si sarebbe candidato a sindaco di Taormina e, al netto delle variabili legate alla sua imprevedibilità o ad altre opportunità (come Catania) la scelta sarebbe stata questa. Era ampiamente prevedibile che le cose sarebbero andate così.

Ma nella città dei tanti strateghi del piffero e dei troppi asini basculanti quella previsione era stata bollata con la spocchia del “non accadrà mai”. Detto, fatto. “De Luca? Non si candiderà mai a Taormina”, “Manca ancora un anno alle elezioni, tutte queste notizie sulle candidature a sindaco sono cose da bar”, “per le elezioni a Taormina se ne parla con calma dopo le Regionali”, “prima i programmi, poi alla fine il candidato”.

Eccoli i fenomeni della politica taorminese, si sono presi tutto il tempo necessario perché da una parte c’era da imbrigliare l’acclarata ricandidatura del sindaco in carica, stopparlo e lasciarlo per un pò di tempo a bagnomaria sino almeno alle Regionali, e dall’altra c’è da 4 anni la guerra di quartiere tra una decina di pretendenti sindaci che badano a metterselo reciprocamente in quel posto anziché confrontarsi e arrivare una sintesi. E tutti si sono illusi di potersi preparare con calma alla solita campagna elettorale di sempre, immaginando di portarla alla zona Cesarini, trascinando le discussioni sino a marzo-aprile, per poi decidere all’ultimo i nomi dei candidati a sindaco e spartirsi le poltrone come sempre. Doveva essere una scampagnata nel giardino di casa, una partita tra scapoli e ammogliati, tutti rigorosamente del luogo e con qualche scambio di maglia come sempre avviene ogni 5 anni.

E la scusa perfetta per prendersela comoda era ovviamente l’idiozia ormai trita dei programmi, che da 20 anni a Taormina sono sempre gli stessi, puntualmente presentati e mai realizzati, un libro dei sogni che diventa un opuscolo riciclabile di cazzate.

E adesso? I fenomeni assumono le sembianze di silenti cassandre piangenti che si leccano le ferite, disorientate dall’irruzione dell’invasore che stavolta minaccia sul serio di togliere il giocattolo dalle mani alla piccola politica locale che non gonfia più il petto e si nasconde nelle inquietudini di un fine settembre da stordimento.

Qualcuno diceva: “I resti di quello che fu uno dei più comici eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.

Nel caso di Taormina si naviga a vista con un paio di generali senza truppe, che tenteranno silenziosamente di risalire la china e riguadagnare una posizione. Ed è una traballante posizione di comodo nella quale si erano auto-cuciti addosso i gradi di leader, perché a Taormina la patente per esserlo è avere 100 voti, e poco importa se il quoziente politico è l’esatto opposto e il carisma non è neanche pervenuto. I capibranco della politica taorminese masticano amaro e cercano di capire come scacciare lo straniero. L’unico che vuole mettere le mani dove non deve.

Il suicidio è compiuto, la frittata è fatta o quasi. I vari marchesi taorminesi stavolta rischiano grosso per non aver capito che sarebbe bastato avere un sussulto di intelligenza e darsi una mossa. Avevano il tempo e i margini, da una parte e dall’altra, per giocare d’anticipo e disegnare una contesa politica da vivere tra le mura amiche. Ora dalle voci da bar si passa al clima da saloon, prepariamoci ad una campagna elettorale in versione da avanspettacolo del libro cuore.

Tra i fessi e presuntuosi politicanti paesani parte il gran ballo del si salvi chi può, con l’arruolamento d’autunno per la battaglia di primavera contro l’usurpatore. Peccato che la città nel frattempo Taormina sia stata già spogliata e scippata di tutto quel che conta. Compresa l’anima.

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