HomeEditorialiTaormina sogna Dalia, così selfie e pandori salveranno l'ospedale

Taormina sogna Dalia, così selfie e pandori salveranno l’ospedale

TAORMINA – E’ tempo di Natale, tra baci, abbracci, pandori e panettoni, eppure al tramonto del 2023 Taormina arriva con un grosso problema irrisolto che pende come una “spada di Damocle” sulla città e sull’intero comprensorio: l’ospedale di Taormina, che reparto dopo reparto, smobilita senza che si intraveda all’orizzonte una svolta. E’ una questione ampiamente nota che tuttavia scorre come l’antipasto dei titoli di coda nell’incoscienza generale di una comunità (tutta, comprensoriale) che non ha ben compreso lo scenario all’orizzonte e si limite a un paio di inutili fesserie sui social, e con la politica che va al “galoppo” delle chiacchiere, indaffarata in altre cose e tutto al più prodiga sul tema di qualche cover mediatica in carta carbone e l’immancabile carico di selfie. Roba che vale più o meno come il due di briscola.

Taormina e l’hinterland è la patria per eccellenza delle crociate in modalità “armiamoci e partite”, d’altronde basta vedere il 18 novembre scorso quando alla manifestazione per il Ccpm e per l’ospedale organizzata dai genitori dei bambini della Cardiochirurgia Pediatrica, si sono presentati all’appuntamento soltanto queste famiglie (le uniche che stanno lottando sul serio), un paio di amministratori della zona per fare presenza e praticamente nessun cittadino. Gli assenti erano tutti affaccendati in altre urgenti impellenze, indisponibili a trovare anche soli 10 minuti da dedicare ad una protesta a difesa dell’ospedale. Tanto poi lasceranno una prece sui social.

Oggi si “scherza” allegramente con il fuoco, domani si piangerà amaramente quando sarà inevitabile sobbarcarsi trasferte per i propri cari a Messina o Catania. L’ospedale di Taormina è stato smontato pezzo dopo pezzo, e tuttavia assistiamo alla liturgia paesana di un’imperturbabile incoscienza, si pontifica in poltrona senza neanche capire che o si muovono le “chiappe” per salvare l’ospedale, tutto e con ogni reparto, o il San Vincenzo rimarrà il cartonato nostalgico di un presidio di periferia. Questo territorio sinora ha dimostrato di essere incapace di difendere in modo serio e concreto la propria sanità o forse è più corretto dire che la questione non interessa a nessuno. Salvo poi lamentarsi, ovviamente, all’atto pratico, quando si ha un problema per un parente e non basterà più la telefonata ai vari Santi in Paradiso, che tra l’altro, al Sirina sono ormai decisamente pochi.

Rimane il tema di fondo, anzi dominante, del destino incerto della Cardiochirurgia Pediatrica che catalizza l’attenzione e assorbe la gran parte degli slanci di generosità (quella vera e quella di circostanza) mentre gli altri reparti vengono ignorati e forse considerati un soprammobile di questo ospedale. Da un lato prosegue la “processione” di visite al Ccpm, e c’è chi va a manifestare solidarietà vera a questo centro e affetto ai bambini, altri invece – che non contano neanche a casa loro – vanno a farsi la foto ricordo con i medici e gli infermieri, da esibire poi sui social come un “feticcio”. E poi ci sono, come detto, le varie unità operative del presidio che non vengono calcolate (viene un’altra parola..) di striscio. Pazienza e chi se ne frega se c’è carenza di personale, manca la carta igienica, servirebbero le lenzuola o altre piccole cose essenziali. A vedere il clima da estasi mistica del Natale 2023 sembra quasi che l’ospedale di Taormina sia diventato una graziosa casetta in Canada, poi ti accorgi che una struttura ospedaliera di vera eccellenza, con tanti bravi professionisti, rischia di ridursi ad un “casermone” senz’anima. “Grazie a tutti” direbbe la Mamma di Vitellozzo in “Non ci resta che piangere“.

Prove tecniche di salvataggio, sarà che serve tempo o, più semplicemente, come direbbero i protagonisti di Lost in Translation: “Ogni anima ha un suo cammino. Ma a volte questo cammino non è chiaro”. E al momento non è chiaro o forse è chiarissimo come si vuole salvare l’ospedale di Taormina. Il punto è che se vuoi salvare qualcuno devi prima realizzare che quel qualcuno sia in pericolo. E in questo caso manca la percezione della realtà, non c’è l’abc. Si naviga a vista, si galleggia tra leggera spensieratezza e baldante strafottenza.

Taormina accarezza il sogno di salvare il suo ospedale con la sua più fervida immaginazione. Come fosse la Dalia dei sogni mostruosamente proibiti di Paolo Villaggio. Un bel giorno la forza dei selfie farà riapparire i posti letto mancanti e potenzierà i reparti. Soprattutto quelli che, nel frattempo, hanno già chiuso.

Sul Ccpm si va avanti sul piano inclinato dell’eterna incertezza, con la prospettiva, intanto, di una proroga rispetto alla convenzione che scadrà il 31 gennaio. Poi tutto sarà nelle mani del Ministero della Salute e si andrà alla resa dei conti nel derby delle metropoli tra Roma e Milano che va in scena nel campo neutro della Sicilia e di Taormina. Chi ne avrà di più vincerà il braccio di ferro.

Nel complesso da un decennio a questa parte sono volati via circa 100 posti letto dall’ospedale di Taormina. Roba da andare nelle sedi opportune e fare volare i tavolini e invece, incredibilmente (ma qui è la normalità) ci si ferma alla solita anemesi dei problemi, anziché “azzannarli” e risolverli. Si va di “fioretto” e si abbaia alla luna, si assiste ad un testa-spalla, baby one, two, three alla Don Lurio. Finita la danza, finita la protesta. Rivendichiamo la superiorità di Taormina, mentre ci portano via anche le “mutande”. Il tempo scorre e nel 2024 si rischia persino lo schiaffo finale di vedere l’ospedale di Taormina sottomesso a “succursale” di un’altra azienda ospedaliera per non avere il coraggio e la lungimiranza di provare a tentare la strada di far diventare proprio il San Vincenzo azienda autonoma. E certi treni, se li perdi, si trasformano nella Circumetnea. A volte l’attesa può avere un senso, in altri casi l’immobilismo è un modo per prepararsi all’ora cupa. E la sanità a Taormina sta andando incontro al momento in cui si materializzerà l’imbarcata finale: la spada di Damocle ormai incombe e stavolta rischia di materializzarsi sotto le più aspre spoglie della “dura legge di Mandingo“. Usando le parole del Pomata: “O si fa qualcosa o sarà la più grande stro**ata da quando l’uomo inventò il cavallo”.

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