HomeEuronewsResponsabilità civile magistrati: l'Italia senza casta è troppo "innovativa"

Responsabilità civile magistrati: l’Italia senza casta è troppo “innovativa”

La Corte Costituzione ha deciso: cinque quesiti ammessi ma resta fuori la responsabilità civile dei magistrati. Promosso da Lega, Radicali e 9 Regioni di centro destra con lo slogan «Chi sbaglia paga», il quesito mirava a dare ai cittadini la possibilità di chiamare in causa i giudici per i propri errori.

Il quesito bocciato del referendum sui magistrati è lo specchio perfetto e inesorabile dell’Italia che continua ad arroccarsi nella granitica convinzione che il Paese è come una piramide, un mondo a scale dove c’è chi scende e chi sale, ma soprattutto chi non scenderà mai. E allora permane l’incrollabile premessa che c’è chi conta e chi no, c’è chi si può bastonare e chi non può essere toccato.

Al termine della lunga Camera di consiglio della Corte Costituzionale, del 15 febbraio scorso, il neo Presidente della Consulta, Giuliano Amato, ha risposto alle domande dei giornalisti in conferenza stampa sul tema della Giustizia, e l’ex premier – decisamente poco amato dagli italiani per i suoi trascorsi a Palazzo Chigi – con la sua proverbiale flemma non si è scomposto nella sua spiegazione sulle valutazioni della Consulta sul referendum riguardante la responsabilità civile diretta dei magistrati.

Secondo il Presidente della Corte, essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, (e qui si cita lo Stato che poi esercita la propria rivalsa su magistrati), l’introduzione della responsabilità diretta renderebbe il referendum più che abrogativo, “innovativo”.

L’effetto finale, insomma, sarebbe quello di introdurre una regola che prima non c’era (e non di abrogare una norma per farne espandere una preesistente). Per i magistrati, insomma, a differenza che per altri funzionari pubblici, la regola è sempre stata quella della loro responsabilità indiretta. Sul punto dunque, come per l’eutanasia, gli italiani non hanno altra strada che auspicare un intervento del legislatore. A questo punto dobbiamo pensare che l’Italia senza alcuna casta è troppo “innovativa”? O più semplicemente ci tocca comprendere che la gente comune è un substrato sociale che se sbaglia paga, mentre altri possono sbagliare ma non possono pagare. Stanno così le cose?

In verità, nell’era dell’informazione che non si può nascondere, Amato e la Consulta avrebbero dovuto fare una riflessione dalla quale non si scappa, una valutazione complessiva, analitica, degli errori giudiziari che ogni anno avvengono in Italia e purtroppo diventano una triste statistica che cammina sui corpi e sulle vite (a volte distrutte) di tante persone.

Quanti sono questi errori? Se lo sono chiesti, con dovizia di numeri e con una ricerca che vale la pena di essere letta, Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, autori di Errorigiudiziari.com, il primo preziosissimo archivio sull’ingiusta detenzione.

Il rapporto, aggiornato con i dati fino al 31 dicembre 2020 e pubblicato nel 2021 – come ha riportato un articolo de La Nazione – precisa che c’è una differenza fra le vittime di ingiusta detenzione (cioè coloro i quali subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi essere assolte) e chi subisce un errore giudiziario (sono quelle persone che dopo essere state condannate con sentenza definitiva vengono assolte in seguito a un processo di revisione).

Tuttavia, “per avere una prima idea di quanti sono gli errori giudiziari in Italia vale la pena di mettere insieme sia le vittime di ingiusta detenzione sia quelle di errori giudiziari in senso stretto. Ebbene, dal 1991 al 31 dicembre 2020 i casi sono stati 29.659: in media, poco più di 988 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 869.754.850 euro e spiccioli, per una media appena superiore ai 28 milioni e 990 mila euro l’anno”.

“La stragrande maggioranza – si legge sempre in questo approfondimento riportato da La Nazione – è rappresentata da chi è finito in custodia cautelare da innocente: “Dal 1992 al 31 dicembre 2020, si sono registrati 29.452 casi: in media, 1.015 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che supera i 794 milioni e 771 mila euro in indennizzi, per una media di poco superiore ai 27.405.915 euro l’anno”. Nel 2020 i casi di ingiusta detenzione sono stati 750, per una spesa complessiva in indennizzi pari a 36.958.648,64 euro. “Rispetto all’anno precedente, si assiste a un netto calo sia nel numero di casi (-250) sia nella spesa”, scrive Errori Giudiziari. Come si spiega questa flessione così evidente? “È molto probabile che molto sia dipeso dal Covid, che ha rallentato pesantemente l’attività giudiziaria a tutti i livelli, dunque presumibilmente anche a quello delle Corti d’Appello incaricate di smaltire le istanze di riparazione per ingiusta detenzione”.
Per quanto riguarda invece gli errori giudiziari in senso stretto, il totale è di 207, a partire dal 1991. La spesa in risarcimenti è di 74.983.300,01 euro (pari a una media che sfiora i 2 milioni e 500 mila euro l’anno). Nel solo 2020, da gennaio a dicembre, gli errori giudiziari sono stati in tutto 16: 4 in meno rispetto all’anno precedenti”. E il 2021 non ha di certo cambiato il trend, con i numeri dell’anno appena trascorso che confermeranno lo stato delle cose.

Quindi i fatti sono più ostinati delle acrobazie giuridiche e non possono essere gli italiani a pagare errori che non sono una tantum ma si ripetono con una certa frequenza. E non vengano a dirci che Palamara era la “pecora nera”: tutto il resto va bene, madama la marchesa. Ci sono magistrati che fanno in maniera specchiata e indiscutibile il loro mestiere, col giusto approccio non soltanto nell’applicazione dei meccanismi legislativi ma anche umani, con il senso delle cose e la giusta valutazione delle dinamiche umane, altri invece che hanno maturato la convinzione di poter “tirare le fila” del mondo dall’ombra del proprio punto di vista, senza la medesima scrupolosità, ritenendo che poi in qualsiasi caso tanto vigerà in eterno la dimensione dell’intoccabilità.

Bisogna, tuttavia, mettersi sempre in discussione, prendersi le responsabilità tutti e tutte, quando si fa bene e quando si sbaglia: in modo equo e senza alcun privilegio di status quo. Siamo tutti uguali e non possono più esistere cittadini di serie A e altri di serie B. La magistratura va ripensata e uniformata al mondo esterno che, pur nel doveroso rispetto dei ruoli, non può avere classificazioni piramidali e distinzioni corporative di alcuni genere. Per qualcuno il principio della parità professionale e sociale, ma ancora prima morale e giurisprudenziale, è soltanto un fastidio, per quelli che la pensano come noi è una conquista dalla quale non si può prescindere. Il tempo degli intoccabili e di chi vola tre metri sopra il cielo è finito, bisogna metterselo in testa e se non avverrà oggi, lo si dovrà fare domani. Non si scappa, è solo una questione di tempo.

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