HomeEuronewsMazzette, manette e mezze calzette: cosa resta di Tangentopoli?

Mazzette, manette e mezze calzette: cosa resta di Tangentopoli?

Sono trascorsi 30 anni esatti da Tangentopoli, la maxi-inchiesta del pool milanese di Mani Pulite che ha spazzato via la Prima Repubblica e smascherato un sistema di corruzione che era ormai un vero e proprio “sistema Italia”, radicato in tutto il Paese e soprattutto “telecomandato” dalla politica che ingrassava gli appalti di tangenti per ingraziarsi gli imprenditori e aumentare i conti dei partiti e dei privati. Il 17 febbraio Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano ed esponente di primo piano del Partito Socialista venne fermato con una tangente da 7 milioni di euro in tasca, senza riuscire nel tentativo in extremis di far sparire nella tazza di un Wc le banconote che erano state segnate come una “trappola” dal pm Antonio Di Pietro. Fu quello l’inizio di una slavina giudiziaria che portò a 25 mila 400 avvisi di granzia e 4525 arresti, con 1069 politici coinvolti (solo dal pool di Milano) e 1300 tra condanne e patteggiamenti definitivi, 430 assoluzioni. Ma soprattutto quell’inchiesta condotta da Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Pier Camillo Davigo e Ilda Boccassini ha fatto emergere 10 miliardi di lire annui di costo delle tangenti per le tasche dei cittadini.

Oggi, per sei italiani su dieci, a distanza di 30 anni da quell’uragano giudiziario, non è cambiato niente. I politici della Prima Repubblica sono stati eliminati dalla scena politica, alcuni sono andati in carcere per poi venirne fuori ed uscire in via definitiva dalla scena pubblica, alcuni degli indagati si sono tolti la vita e altri sono passati in seguito e anche in anni recenti a migliore vita portandosi nella tomba la vergogna di aver rubato e forse alcuni segreti mai svelati. Ma di quel periodo storico cosa resta davvero? Da un lato è stato spazzato via quel marciume, dall’altro lato però si è fatta spazio una successiva generazione politica di “portaborse” elevati al ruolo di leader senza neanche avere la caratura dei “vecchi”. La classe politica della Prima Repubblica era fatta di personalità che, colti dal delirio di potere dell’intoccabilità, hanno creduto di poter fare e disfare a proprio piacimento tutto e il contrario di tutto, sottraendo denari allo Stato come se ciò fosse un esercizio compreso nell’alveo della legalità. Ma innegabilmente si trattava anche di politici che avevano un’intelligenza di gran lunga superiore a quelli che ne hanno raccolto il testimone e che di questi tempi brancolano nel buio della mediocrità assoluta.

E la corruzione che c’era ieri non è finita oggi. Non a caso una ricerca di Demos e Libera sulla percezione della corruzione e delle mafie, offre un eloquente quadro aggiornato sulle opinioni degli italiani in relazione alle possibile ricadute del malaffare sul flusso delle risorse finanziarie previste dal Pnrr. Il 78% degli italiani ritiene che la corruzione in politica sia lo specchio della società. E per questo è difficile da debellare. Dunque, l’intreccio tra politica e corruzione non è mai morto, è ancora fortemente radicato nelle prospettive dei cittadini. Solo il 10% crede che la corruzione sia di questi tempi meno legata alla politica rispetto al passato. Dalla stagione delle manette e delle mazzette del 1992 si è passati all’epoca delle mezze calzette di una Seconda e Terza Repubblica che non hanno salvato l’Italia e anzi ne hanno peggiorato la crisi. E ora la speranza è che non si perda l’ultimo treno che sta passando. Il PNRR è l’ultima chiamata.

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