HomeEditorialiL'Europa ci mette il cappio: Meloni ora che farà?

L’Europa ci mette il cappio: Meloni ora che farà?

Ci risiamo, l’Europa torna a rivolgere lo sguardo all’Italia e non è un’attenzione benevola, a maggior ragione quando c’è un governo di centrodestra, tradizionalmente poco simpatico ai baroni di Bruxelles e ai tecnocrati che ne muovono le fila.

Il nuovo Patto di Stabilità che la Commissione Europea ha presentato può entrare in vigore già all’inizio del 2024. E secondo l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi si tratta di «un commissariamento della politica di bilancio dei paesi ad alto debito. In particolare dell’Italia». In base alle simulazioni Ue all’Italia sarebbe richiesta – in linea con il Def – una correzione di bilancio fino a 15 miliardi l’anno per quattro anni. Oppure di 7-8 in sette anni. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa notare che con le nuove regole gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non risultano esentati. Ma c’è di più. Perché il governo Meloni aveva promesso riforme delle pensioni e dell’Irpef. Ma con queste regole, spiegano gli esperti, ogni tentativo potrebbe finire frustrato dalla mancanza di risorse. A meno di non tagliare.

A spiegare bene la situazione è un approfondimento di Open. Sono i calcoli della commissione europea a dire che il fabbisogno annuale per il rientro dal deficit ammonta a 15 miliardi in quattro anni – spiega il giornale di Enrico Mentana -. Il Prodotto Interno Lordo è arrivato a 1.909 miliardi di euro nel 2022. Un taglio annuo dello 0,85% vale 16 miliardi. Quello di sette anni vede la percentuale scendere fino allo 0,45%. Ovvero 8,5 miliardi l’anno. Applicando le stesse proporzioni, in caso di procedura d’infrazione l’Italia sarebbe chiamata a versare multe per 950 milioni di euro ogni sei mesi. Fino a un massimo cumulabile di 9,5 miliardi di euro. Fonti europee dicono all’agenzia di stampa Ansa che si tratta di cifre legate alla cosiddetta traiettoria tecnica. La quale a sua volta è solo «il punto di partenza» delle discussioni che avranno singoli Paesi e Commissione sui piani pluriennali di rientro del debito e riforme. E, in ogni caso, si tratterebbe di un aggiustamento inferiore a quello richiesto all’Italia con le regole attuali. Il Def, inoltre, prevede un aggiustamento del 3,6% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024.

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il ministro Giorgetti ha espresso un misto tra irritazione e realismo. «Il nuovo Patto di stabilità impone una rigorosa revisione della spesa, di tutta la spesa, compresi gli investimenti», spiega. E questo perché la spesa pubblica potrà crescere percentualmente negli anni a venire, in sostanza, meno di quanto sia cresciuta l’intera economia negli anni passati. E visto che l’Italia quasi non è cresciuta nell’ultimo decennio, la spesa dovrebbe restare molto compressa. A meno di non effettuare tagli su altre voci per privilegiare gli investimenti. «La spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del Pnrr che hanno un impatto sugli obiettivi», aggiunge il responsabile di via XX Settembre. Si riferisce, spiega Federico Fubini, a quelli basati su prestiti europei (per circa 120 miliardi di euro) che entrano nel debito pubblico. «Questo vale a maggior ragione per l fondo complementare al Pnrr che dobbiamo finanziare al costo in interessi del debito italiano». E che vale circa 30 miliardi.

L’Europa, insomma, è pronta a mettere il “cappio” o il guinzaglio, a seconda dei punti di vista, all’Italia. Il governo Meloni saprà soltanto lamentarsi e fare inutile retorica spicciola sui social e sterili crociate nelle tv oppure intende farsi valere sul piano pratico – quello istituzionale – per far capire ai signori di Bruxelles che ognuno comanda in casa propria? E’ il banco di prova che darà l’esatta consistenza del peso politico di Giorgia Meloni: reagire o subire è il bivio. Difendere l’Italia e proseguire le riforme avviate o farsi commissariare ancora una volta da Bruxelles. La terza via al momento non c’è.

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