HomeEditorialiIl dramma del Prefetto Sodano: così hanno massacrato e umiliato la Sicilia

Il dramma del Prefetto Sodano: così hanno massacrato e umiliato la Sicilia

Una testimonianza toccante, anzi sconcertante. Un momento di giornalismo, quello vero, nell’Italia dell’informazione spazzatura. Ma soprattutto una pagina di amara vergogna per le connivenze ad alti, altissimi, livelli che hanno tenuto in ostaggio per decenni la Sicilia.

Ci riferiamo alla testimonianza trasmessa domenica sera dal programma “Non è l’Arena” di Massimo Giletti con ospite in studio Maria Sodano, la moglie del Prefetto Fulvio Sodano, insieme al figlio Andrea. La storia è quella del “Prefetto del popolo”, scomparso nel 2014 e per tanti anni protagonista in Sicilia della lotta alla mafia.

“Lo Stato fa finta di non sapere”, dichiara Maria Sodano e nella sua affermazione c’è il senso di una storia che parte da lontano, un cerchio che non si è mai chiuso neanche con la recente cattura di Matteo Messina Denaro. Una cattura che impone un plauso sincero e totale all’operato delle Forze dell’Ordine ma riapre l’interrogativo inquietante sul perché Messina Denaro non sia stato catturato molto prima. Vale per lui e vale allo stesso modo per i Riina e Provenzano: boss stragisti che hanno goduto di protezioni eccellenti e impensabili, “primule rosse” che in realtà non erano imprendibili ma hanno goduto di lunghissime latitanze, quando appare ormai chiaro che il loro arresto era molto probabilmente fattibile molto tempo prima.

Il Prefetto Sodano, dopo aver ricoperto incarichi di commissario straordinario in alcuni comuni sciolti per mafia,a Bagheria, Altavilla Milicia, Capaci subito dopo la strage, Palma di Montechiaro nell’agrigentino (quest’ultimo non per motivi di mafia) ed è anche vicecommissario prefettizio a Catania, si era distinto nella battaglia al crimine come Prefetto di Trapani.

Aveva combattuto Cosa Nostra a Trapani, nel cuore della ferocia e degli intrighi inconfessabili di quel territorio dove nei giorni scorsi è stato arrestato l’ultimo padrino Matteo Messina Denaro. Ed è lì che aveva decapitato una famiglia mafiosa, con l’arresto di un boss, 5 imprenditori e un funzionario dell’Agenzia del Demanio, risultato connivente con la Mafia.

A Trapani il Prefetto Sosano si era speso particolarmente in questioni riguardanti i beni confiscati alla mafia e, a tal proposito, il 26 luglio 2003 aveva stipulato la “Carta degli impegni libera terra Trapani”, documento che consentiva di velocizzare le procedure di confisca dei beni ai mafiosi e di incidere tangibilmente sull’impoverimento del loro patrimonio. Il Prefetto Sodano però non venne premiato per tutto quell’impegno e per i risultati conseguiti ma venne allontanato e trasferito in altra sede.

L’11 luglio 2003 venne sostituito a Trapani e nominato dal Governo Berlusconi II prefetto di Agrigento, dove rimarrà fino nel gennaio 2005 quando abbandonerà il servizio essendosi ammalato.

Sodano è scomparso nel 2014 all’età di 67 anni per Sla. Ma nel 2006 ormai senza forze rivelerà davanti alle telecamere di un programma Rai di Michele Santoro il contenuto di una sua lettera inviata al Capo dello Stato e al Ministro dell’Interno, e soprattutto di essere stato allontanato perché aveva dato fastidio a Trapani. “Avevamo decapitato una famiglia mafiosa, l’operazione ha avuto vasto eco sui media nazionali, ho avuto tante testimonianze di vicinanza, stima ed incoraggiamento dalla gente, che spesso viene etichettata connivente e omertosa. Mi sarei aspettato qualcosa di simile dalla mia Amministrazione e da lei, signor ministro, così prodigo di complimenti alle Forze dell’Ordine quando portano al termine operazioni che escono dall’ordinario. Nemmeno una telefonata, né una pacca sulle spalle. Solo imbarazzati silenzi. Il premio l’ho avuto, a ben riflettere: il mio trasferimento, nonostante 20 giorni prima mi fosse stato detto che era stato deciso di lasciarmi a Trapani. Si rende conto che abbiamo fatto una “favore” alla Mafia allontanando un Prefetto che dava fastidio all’organizzazione?”.

In quell’intervista ad “Anno Zero”, del 5 ottobre 2006, il Prefetto Sodano traccia uno spaccato triste ed inquietante sulla cappa di potere, borghesia, politica e crimine che ha massacrato per decenni la Sicilia.

Gli veniva chiesto se riteneva fosse vero che il suo trasferimento era stato voluto da un allora sottosegretario del Ministero agli Interni del governo: il sen. Antonio D’Alì. E Sua Eccellenza, a quel punto, annuisce con il capo. Il Sen. D’Alì, dallo scorso 14 dicembre 2022, è rinchiuso nel carcere di Opera a Milano, a seguito di una sentenza che lo ha condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Alla fine, al Prefetto Sodano viene chiesto: “Lei ha ancora fiducia nello Stato e nelle Istituzioni?”. Lui, con le poche forze rimaste, scuote la testa e fa cenno di No e si abbandona al pianto. Poi prende una penna, in lacrime e con le poche forze rimaste scrive una frase che racchiude il senso di tutto: “Spero solo che si cambi”.

Quelle parole pesano come un macigno sulla credibilità delle Istituzioni e sono più che mai attuali. Lo Stato non può più fare di niente e voltarsi dall’altra parte.

E’ arrivato il momento di dire basta alla stagione mai terminata dei silenzi e delle ambiguità, del doppio gioco e dei poteri deviati, ma prima ancora l’epoca di un patto ignobile tra crimine e poteri forti. Viviamo ancora oggi in un Paese che non ha la coscienza pulita e ha tanti segreti e troppi misteri mai svelati.

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