HomePoliticaRegionali e Nazionali: la grande occasione persa dalla piccola politica di Taormina

Regionali e Nazionali: la grande occasione persa dalla piccola politica di Taormina

TAORMINA – Tra poco più di una settimana si torna alle urne e si va a votare per l’election day che vale l’assegnazione di seggi, poltrone, divani e chi più ne ha più ne metta al Parlamento nazionale (Camera e Senato) e al Parlamento Siciliano (Ars).

Non può passare in cavalleria, come invece sta passando, la grande sconfitta della piccola politica di Taormina. E’ una batosta, una Caporetto, una legnata di quelle che hanno pochi precedenti e vi spieghiamo perché.

Lo abbiamo scritto con estrema chiarezza e senza fare giri di parole (da anni) che l’attuale panorama politico a Taormina è desolante e andrebbe azzerato. Non è il classico discorso che riguarda quelli che hanno amministrato da 20 o 30 anni a questa parte, perché i fatti si commentano da soli e anche altre personalità emergenti e le nuove generazioni che sono entrate nel palazzo si sono tutte omologate a quei risultati modesti e al medesimo modo di fare politica che non funziona e non va bene. E’ una stagione che di certo non ha risolto i problemi della città e semmai li ha acuiti ed esasperati sino a spingere – non a caso – al dissesto finanziario il Comune potenzialmente più ricco della Sicilia.

E allora il 25 settembre è la pietra tombale sulla politica taorminese, incapace di mettere nella miriade di liste per le Nazionali e soprattutto per le Regionali un politico locale, sul quale fare sintesi e da fare eleggere nell’interesse del territorio. Non un figurante come riempitivo ma un candidato protagonista e sul quale puntare ad un largo consenso per l’interesse generale. Qui si è scelto di essere spettatori della partita.

Ancora più imbarazzante è il confronto con i piccoli paesini della Ionica, per non parlare di quelli di altre province. Dai posti più sperduti sono emerse candidature che portano da queste parti fenomeni di periferia della politica, che vengono a Taormina (e girano la provincia e la Sicilia) a chiedere i voti e ai quali l’elettorato e le varie parrocchie politiche locali si genuflettono – al netto di qualche promessa spicciola – come fosse apparsa la Madonna o il Cristo Redentore.

Non facciamo nomi perché siamo in tempi di par condicio ma – senza offesa per nessuno – abbiamo visto santini con i volti di candidati che in altre stagioni politiche probabilmente non solo non sarebbero stati mai in lista per le Regionali o per le Nazionali ma li avremmo apprezzati forse intenti allegramente a piantare le patate in campagna piuttosto che a vendere il cocco in spiaggia. Invece, alla faccia dell’immobilismo e della presunzione taorminese, oggi ci sono piccoli personaggi che sono stati bravi a farsi candidare e ritagliarsi uno spazio e l’elettorato di Taormina (al pari di Giardini e Letojanni, etc) li voterà.

A Taormina (e dintorni idem) c’è stata l’inerzia assoluta, l’incapacità totale di scommettersi insieme. Nessuno si è preoccupato di mettersi ad un tavolo per individuare un candidato del luogo da sostenere per fare da qui e non da fuori battaglie essenziali su temi che riguardano tutti. Un esempio: per difendere l’ospedale di Taormina che perde pezzi, è ridotto in condizioni pietose e, di questo passo, tra un pò rischierà persino la chiusura.

Taormina non è interessata ad avere figure del luogo che siano in corsa per un posto in Parlamento e chi ci ha provato in passato e si era pure candidato, è rimasto con le dita scacciate, ci ha rimesso soldi e in paese non ha raccolto altro che un migliaio di preferenze: perché la priorità non era (e non è) una visione mirata all’interesse comune ma disinnescare il candidato locale, boicottarlo a prescindere.

Insomma, siamo sempre alla solite, con i lacci di una mentalità bigotta che impedisce il cambio di passo e nega il salta di qualità ad una città strapiena di turisti stranieri, votata al vanto dell’internazionalità ma arroccata in realtà nel paesanismo più strenuo e conservativo. Un limite evidente, sgamato addirittura dal sindaco di Venezia 10 minuti dopo il suo arrivo a Taormina.

A Taormina Tizio non muoverà mai un dito per portare Caio in Parlamento e Sempronio, tutto al più, gioca con due mazzi di carte, tradisce o cambia casacca a scadenza quinquennale. Si va avanti con la lotta a chi ce l’ha più lungo e chi più corto, senza vedere il mondo oltre l’intimo perimetro delle proprie mutande, come se il mondo fosse un microcosmo che inizia a Porta Catania e finisce a Porta Messina. E’ la stessa identica trama che sta già andando in scena per le elezioni Comunali del 2023, dove si vedono autocandidature che farebbero ridere se non ci fosse da piangere. C’è chi insegue la sindacatura potendo contare soltanto sul proprio sostegno. In fin dei conti parliamo di bravi “cristiani” (per dirla in gergo dialettale, non in quello religioso…), totalmente rispettabili ma che non faranno mai il sindaco neanche in altre 15 vite. Tuttavia, sotto il cielo di Taormina ci si carica e ci si beve con disinvoltura il cervello al punto tale da far diventare una legittima ambizione quasi un’ossessione. “Io o nessun altro”, “muoia Sansone con tutti Filistei”, è la mentalità che tiene in scacco un’elezione Comunale e allo stesso modo impedisce di schierare un candidato del luogo che possa correre per diventare parlamentare del territorio.

I piccoli paesini fanno quadrato attorno ad un nome e mettono i propri amministratori nelle liste, qualcuno anche con delle possibilità più o meno concreti di eleggerli o di portarli nel circuito che poi consente opportunità per il territorio, finanziamenti in particolare. A Taormina ci si divide sull’onda di veti incrociati, latenti rancori e silenti invidie, e non si ha neanche la scaltrezza di mettersi ad un tavolo, ragionare e trovare qualcuno sul quale far convergere un largo consenso della città e, di riflesso, quello del comprensorio, a partire da Giardini, Letojanni e la Valle Alcantara. Sono gli altri che dettano lo spartito e fanno di questa città terra di conquista.

E’ lo scotto da pagare all’eterna guerra dei poveri che a Taormina caratterizza da tempo immemore la politica locale come a specchio il tessuto economico. La politica è protagonista di una competizione che sembra una telenovela borgatara ed esonda puntualmente nel fatto personale: una centrifuga di simpatie e antipatie che alimenta il paesanismo più retrogrado e va di pari passo con il tenore dei dibattiti social dove la modalità minkiata è quella più gettonata e tiene in salamoia una prospettiva di crescita del tessuto sociale ed economico. E nel commercio ci si scanna per un pezzo di suolo pubblico e si fa il tifo per le disgrazie altrui anziché cercare di unire le forze per il bene del territorio.

Un peccato perché poi, nonostante la zavorra di una mentalità da popolino, Taormina rimane una Ferrari che ha tutto per decollare se davvero si riuscisse a rivedere il modo di pensare e di agire. E’ una Ferrari che però viaggia alla velocità di una Fiat 500, con il freno a mano tirato, e non c’è da illudersi che la soluzione ai problemi sia mettere Giovanni piuttosto che Peppino come sindaco se è tutto il resto che non funziona come dovrebbe. Non servono salvatori della patria ma una comunità che si metta in testa di remare dalla stessa parte, realizzando che l’interesse del singolo può essere salvaguardato solo se prima si difende e si persegue quello collettivo. A Taormina mentre si litiga per futili questioni, i predoni di turno sono diventati i padroni del vapore. La Perla dello Ionio si specchia e si fa vanto dei suoi tesori in cassaforte senza accorgersi che tanti gioielli se li sono rubati da un pezzo.

Esiste un carico straordinario ed invidiabile di potenzialità, una infinità di opportunità puntualmente buttate via o che non sono sfruttate al meglio. Peggio ancora il territorio viene venduto a chi viene da fuori, si prende la pagnotta e se ne va. Con tanti saluti ai ridenti e masochistici antagonismi taorminesi.

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