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PUTINIANI D’ITALIA: COSI’ L’INFORMAZIONE IN ITALIA E’ DIVENTATA UN CIRCO

Lo avevamo detto e scritto qualche tempo fa che la Russia aveva individuato nell’Italia e nel suo sistema d’informazione, che fa acqua da tutte le parti, il terreno fertile per la sua propaganda in Europa in tempi di guerra, e non è una guerra qualsiasi ma l’invasione di uno Stato sovrano con una mattanza in atto dal 24 febbraio scorso in Ucraina e un Paese libero che è stato raso al suolo con una barbarie che non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale.

E allora è bufera in questi giorni su un’informativa del Copasir riguardo alcune personalità che vanno spesso nelle tv e nei salotti mediatici d’Italia a far capire che le loro posizioni sono vicine alla Russia e a Vladimir Putin. Si è scatenato un putiferio, sono arrivate precisazioni e smentite, nel frattempo si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Le premesse da fare sembrano fondamentalmente essere tre:

1) La Russia sta facendo cose di un’atrocità totale in Ucraina e su questo non ci piove ma se poi ci sono soggetti che la pensano diversamente da noi (e noi siamo tra quelli che condannano l’invasione dell’Ucraina senza se e senza ma) siamo certi che lo facciano perchè sono pagati? Ci sono prove? E’ stato provato che quei putiniani esibiti in prima pagina e dati in pasto al Paese siano alla mercè di Mosca? Al momento no.

2) Chi ha passato quell’informativa e quei nomi? Non sono stati i Puffi, non è stato il barbiere di Palazzo Chigi, e neanche il visagista di Zelensky. Serve altro?

3) Siamo sicuri che i veri putiniani d’Italia – se così li si può definire – siano quelli?

La Russia probabilmente non ha neppure bisogno di pagare nessuno per i suoi “servigi” di propaganda mediatica, perchè anche a Mosca sanno che l’Italia è il Paese del tutto e il contrario di tutto, dove ci si è scannati per due anni sui vaccini nel pieno di una pandemia e la gente – la stessa che non si è mossa da casa quando hanno aumentato le bollette e i generi di prima necessità – ha fatto invece manifestazioni e proteste di ogni genere quando la gran cassa della tv e dei social hanno cominciato a far circolare le più disparate tesi sui vaccini. L’Italia è semplicemente il Paese delle contraddizioni, delle divisioni su tutto e in cui tutti sono esperti di qualsiasi cosa. Basta leggere una minkiata sui social o ascoltare un idiota qualunque, sol perchè in giacca e cravatta, in un talk-show televisivo.

Mosca ha già probabilmente i suoi “fedelissimi” in Italia da anni e non da ora, e se Putin ha deciso di affidarsi ad un gruppo di “profeti” italiani della cosiddetta “operazione speciale” siamo sicuri che avrebbe scelto quel gruppo di “putiniani” che – senza offesa per nessuno – sembrano un’Armata Brancaleone? Più che una lista di innamorati della Russia quell’elenco è diventato una lista di proscrizione, con gli annessi e connessi che talvolta in Italia certe campagne di odio possono determinare. Le informazioni vanno date, ma il modo in cui le si dà andrebbe ragionato contando almeno sino a 10.

Per il resto, a meno che Putin non si sia rincretinito a tal punto, certe influenze vengono presumibilmente esercitate in altre sedi e a più alti livelli. Quindi, forse, da altri soggetti, più insospettabili.

Fatto sta che ormai talk show e social media hanno trasformato il giornalismo sportivo in un circo. C’è la febbre del numero di follower e la corsa allo scoop senza paracadute, non si svolge la professione del cronista ma si esercita il ruolo del portatore del brand di se stesso. Chi faceva un tempo informazione, ora parla alle masse come fosse un predicatore di Indianapolis. E via con una pletora di influencer e opinionisti che andrebbero impacchettati e spediti su un’isola deserta a spalare cocchi.

In Italia non si fa informazione ma si cerca di intercettare il vento della notizia e l’umore dell’utente, e di certo nulla attrae l’italiano più della caduta di un eroe. Gli piace, lo eccita ed è il suo desiderio sin da quando si alza al mattino.

Ha ragione il collega Francisco Cabezas: “L’indipendenza delle informazioni dovrebbe essere la cosa più importante nella nostra professione. A volte però c’è qualcosa che è come un atto masturbatorio del lettore: scrivere solo ciò che gli piacerà”.

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