HomeEditorialiBasta attenuanti: ergastolo per le bestie che uccidono una donna

Basta attenuanti: ergastolo per le bestie che uccidono una donna

Tra due mesi avrebbe dato alla luce il suo primo figlio e invece è stata uccisa, brutalmente, insieme alla vita che portava in grembo dal suo compagno. Un omicidio efferato quello di Giulia Tramontano, la 29enne di origini campane. La svolta è arrivata nelle scorse con la confessione di Alessandro Impagnatiello: “L’ho uccisa io”. Fino ad arrivare all’ultimo orrore, l’ultimo sfregio alla sua compagna con la telefonata all’amante per dirle: “Ora sono libero”.

Molte altre donne come Giulia hanno pagato con la vita questi gesti di furia bestiale e crudeltà disumana. Tante altre donne ancora rischiano di fare la fine ed è evidente che siamo ad un bivio ineludibile in cui il governo deve assumersi la responsabilità di determinare un cambio di passo nel contrasto ai reati di genere, per arginare davvero la catena di sangue del Femminicidio. Qualcosa si è fatto con il Codice Rosso, la legge 19 luglio 2019, n. 69, ma non è bastato, non è così che si riuscirà a fermare questa spirale di violenza che sembra inarrestabile.

L’assassino di Giulia è indagato per omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza contro la volontà della donna. Accuse pesantissime ma il sospetto è che anche in questa circostanza possa poi verificarsi, in sede processuale, quello che accade ormai puntualmente ogni volta che si consuma un delitto di genere.

Il copione è noto a tutti: l’avvocato dell’imputato chiede una perizia e viene chiesto il riconoscimento dell’incapacità di intendere e volere del mostro di turno. “Non voleva”, “è stato un raptus”, “era sotto effetto di sostanze”, “non era lucido”: è il campionario delle supercazzole che offendono la memoria della vittima e della sua famiglia ed è un teatrino al quale si assiste ogni volta che una donna viene aggredita, picchiata, accoltellata, e spesso il reato arriva alle più estreme conseguenze. Così la pena si riduce e magari l’assassino potrà scontarla in un istituto psichiatrico, dove poi potrà chiedere in un secondo momento qualche altra riduzione ulteriore della condanna.

Sino a questo momento il violento di turno sa che può aggredire una donna perché in un modo o nell’altro se la caverà e questa consapevolezza va demolita. I cultori dell’amore malato e della violenza gratuita devono sapere che non ci sarà nessuna attenuante se si renderanno autori di questi comportamenti vigliacchi.

A questo punto non c’è molto da interpretare, una sola è la cosa, molto semplice, da fare: smetterla con le scorciatoie giuridiche all’italiana che uccidono per la seconda volta le vittime come Giulia. Occorre inasprire le pene e portarle all’ergastolo per chi si rende autore di tali reati. Come avviene con i mafiosi. Carcere sine die, punto e basta. E che nessun finto perbenista venga a raccontarci la storia che chi uccide una donna va “rieducato” o “reinserito nella società”, magari con qualche bel permesso premio che ha già consentito ad alcuni assassini di andare ad uccidere altre donne. Vedi il caso del mostro del Circeo.

Verrebbe anzi in mente ben altro, e precisamente la condanna più inesorabile che è in vigore negli Stati Uniti, ma visto che qui non si può, si faccia in fretta almeno a decretare il carcere a vita per le circostanze in cui queste bestie senza cuore si arrogano il diritto di strappare la vita ad un’altra persona. Non può esistere altra soluzione. Buttare la chiave e mandarli a marcire per sempre in una cella. Senza se e senza ma.

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