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Aviaria: il virus fa il salto di specie, l’Europa ora ha paura

Non è ancora allarme ma quasi. L’influenza aviaria comincia a mettere in apprensione l’Europa. L’infenzione virale ha già determinato 50 milioni di pollame macellati in un anno e ora torna alla ribalta dopo la scoperta di una mutazione rara del virus H5N1 che, in un allevamento di visoni nel Nord-Est della Spagna, in Galizia, ha provocato la prima trasmissione da mammifero a mammifero in condizioni controllate.

In precedenza nel New England era avvenuta un’altra epidemia tra mammiferi, ma nelle foche, quindi in animali selvatici difficili da studiare e controllare. L’epidemia nei visoni risale all’ottobre 2022, ma ora è stata pubblicata la ricerca che la descrive, insieme all’analisi della sequenza genetica del virus.

I dati indicano comunque che il virus non ha acquisito la capacità di trasmettersi all’uomo e questo al momento è il dato più importante dentro una vicenda che, però, non lascia tranquilli gli esperti.

“Finora il virus H5N1 aveva fatto solo salti sporadici nella popolazione dei mammiferi”, ma quello dell’allevamento di visoni in Galizia “è un caso di rilievo perché, sulla base dei dati raccolti, il virus si è diffuso all’interno dell’allevamento, tra mammifero e mammifero”, ha evidenziato Isabella Monne, dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie.

Il virus trovato in Galizia appartiene alla famiglia responsabile dell’attuale epidemia di aviaria in Europa, indicata con la sigla 2.3.4.4b, e la mutazione T271A, trovata nel gene PB2 del virus, è diventata una sorvegliata speciale. “In questo caso – prosegue la ricercatrice, un allevamento intensivo di mammiferi è venuto a contatto con un virus dopo eventi di infezione nei volatili selvatici e c’è stata trasmissione all’interno dell’allevamento”. “E’ un evento che ci ricorda che l’influenza aviaria va trattata come un problema che può interessare altre specie. Anche dal punto di vista ecologico – aggiunge – è estremamente importante perché un virus letale negli uccelli selvatici implica una perdita della biodiversità”. Lo indicano, per esempio, i cigni neri australiani decimati dall’influenza aviaria, come denuncia l’articolo pubblicato in questi giorni sulla rivista Genome Biology. “E’ uno dei troppi esempi”, osserva la ricercatrice. La difficoltà è riuscire a bloccare il virus che circola fra le specie selvatiche per impedire che avvenga il salto di specie, ossia che il virus acquisisca la capacità di contagiare nuove specie per assicurarsi la sopravvivenza: dopo i volatili i mammiferi, fino all’uomo.

Nell’allevamento in Galizia sono state trovate anche altre mutazioni, “delle quali non conosciamo il significato”. La buona notizia, aggiunge Monne, è che “non sono state evidenziate mutazioni capaci di trasmettere il virus da un uomo a un altro”. E’ un caso diverso da quello che nel 2003, in un allevamento di polli in Olanda, aveva causato almeno 83 passaggi del virus dagli animali all’uomo, ma nessuna trasmissione da uomo a uomo. Anche il virus che circolava allora era molto diverso da quello visto nell’allevamento spagnolo. “Finora ci sono stati rarissimi casi sporadici nell’uomo, tutti legati al contatto diretto con gli animali infetti”, osserva la ricercatrice. I più recenti sono avvenuti nel 2021 in Gran Bretagna e all’inizio di gennaio una bambina in Ecuador è stata contagiata dal virus H5N1.

La sorveglianza è d’obbligo, scrivono i ricercatori nell’articolo. Le segnalazioni sono frequenti e anche in Francia il virus dell’influenza aviaria dall’estate 2022 ha costretto ad abbattere 4,6 milioni di polii. “Più il virus continua a circolare, più ha la possibilità di trovare nuovi ospiti. I virus dell’influenza del tipo A – rileva Monne – hanno una frequenza evolutiva più alta: a loro interessa adattarsi al maggior numero di ospiti possibile”.

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