HomeEditoriali"Un paraculo democristiano": la dura legge di Renzi, l'Andreotti 2.0

“Un paraculo democristiano”: la dura legge di Renzi, l’Andreotti 2.0

MATTEO RENZI POLITICO

Il “caso Musolino” con il carico di polemiche che sta scatenando il passaggio a sorpresa della senatrice messinese Dafne Musolino dal movimento di Cateno De Luca al partito di Matteo Renzi, è l’ennesima conferma della spietata abilità politica dell’ex premier. Il senatore di Scandicci, di fatto, dopo la fine del suo governo e l’addio al Partito Democratico non ha più un voto, è inchiodato ad un 3% di consensi nel Paese, nelle retrovie della sfida politica nazionale. Eppure con quel 3% riesce, alla resa dei conti, a contare spesso e volentieri più di quelli che hanno la doppia cifra.

Secondo la Supermedia Agi/YouTrend, che include i sondaggi realizzati nelle ultime due settimane, dal 21 settembre, Italia Viva addirittura al momento è sotto il 3%, al 2,6%.

Poco cambia. Lo abbiamo detto e scritto e quindi repetita iuvant: Renzi è diventato un simbolo politico di antipatia agli occhi degli italiani ma nella mediocrità politica che lo circonda a sinistra e a destra nel Parlamento italiano rimane protagonista perché bisogna riconoscergli una grande abilità. E’ il più scaltro, un impareggiabile venditore di fumo, forse ormai l’unico parlamentare che ha una vera scuola politica alle spalle tra gli asini strapagati di stanza nella capitale. E’ un “paraculo” democristiano, come lo ha definito Gianfranco Rotondi, che trova sempre un modo per incidere o altrimenti per metterlo in quel posto all’avversario di turno. Per capirci Renzi è uno che in gioventù ha avuto modo di conoscere e frequentare gente come Giulio Andreotti e Ciriaco De Mita. “Lupi” della politica, non le le mediocrità/nullità che – gentilmente accompagnati/e da una legge elettorale farlocca – siedono oggi a Palazzo Madama e a Montecitorio.

Il 40% che raggiunse Renzi ai tempi del boom con il Partito Democratico appartiene ad un’altra era geologica e non esiste nemmeno lo zero per cento di probabilità che il senatore di Scandicci possa tornare di nuovo su quei numeri e neppure avvicinarli, ma questo lo sa anche il diretto interessato.

Renzi non avrà più modo di tornare alla guida del Paese, perché nel centrodestra non lo imbarcheranno mai ed è pure fallita l’operazione dell’Opa su Forza Italia e a sinistra c’è un tutti contro tutti, nel quale l’unica certezza è che il Partito Democratico lo vede come un nemico o tutto al più potrebbe pensare a lui come un eventuale alleato di “comodo”. Il comune denominatore delle posizioni è che nessuno si fida più di Renzi. E gli italiani quando lo sentono nominare pensano subito ai disastri come la grandine che ha combinato a Palazzo Chigi.

Quell’azzardo del referendum sciagurato del 2016 ha condannato Renzi a rimanere ai margini dello scacchiere. O forse no, non è per niente così.

In fondo Renzi non si dispera di un quadro così desolante e riesce a determinare i giochi anche con quel suo piccolo 3% scricchiolante. Nel frastuono della battaglia politica, il leader di Italia Viva sa come restare a galla e come farsi largo. Il suo obiettivo è stare lì, cerca intese utili per continuare ad essere elemento decisivo e strategico: Renzi vuole essere una sorta di Andreotti 2.0, fatte le dovute differenze. Andreotti ad un certo punto si ritrovava ad avere non più del 10% degli iscritti alla Democrazia Cristiana e c’era chi aveva molti più consensi di lui. Ma nei congressi, nei palazzi, quel 10% di Andreotti e la pattuglia di parlamentari che facevano riferimento a lui, ne facevano un ago della bilancia, spesso l’asso pigliatutto. Oggi Renzi, nel nulla cosmico che lo circonda, giganteggia e la gran parte degli inquilini del Parlamento se li mette in tasca senza troppe difficoltà.

“Con tutto il rispetto di chi parla male della Dc, se paragono” i democristiani “con quelli di oggi” sono dei “giganti” e gli altri dei “nani”, “una bella differenza”. Parole e musica di Matteo Renzi.

L’operazione di costruzione di un centro in un Paese che vive ormai di bipolarismo rimane complicata, tendenzialmente è una supercazzola senza futuro, un groviglio di teste ingestibili da mettere insieme e che Renzi sta portando a spasso come la badante con l’assistito. Renzi sa come fare e disfare, è tutto e il contrario di tutto. Calenda è inaffidabile come lui, si cercano e si attaccano ma poi si trovano e forse è vero che i due sono condannati a stare insieme. Renzi ha più sale in zucca del “pariolino”, potrebbe mangiarselo a colazione, tuttavia Carletto gli serve per una questione di numeri.

E allora la mossa del passaggio di Dafne Musolino ad Italia Viva non sorprende, perché il buon Renzi sa essere persuasivo. Cateno De Luca gli ha detto di no e quel rifiuto ha spinto l’ex premier alla “vendetta” immediata. Nel frattempo se n’è andato Ettore Rosato e Renzi doveva compensare quell’addio, ha individuato il bersaglio ed è andato a prendersi la preda politica. Probabilmente lascia perplessi soltanto l’ingenuità della diretta interessata che, pur avendo dimostrato di avere competenze e di essere una persona preparata, si è fatta ammaliare dal canto della “sirena” di Scandicci. Si è lanciata nel vuoto senza paracadute, senza guardare la prospettiva. E’ chiaro che, al netto della visibilità che la Musolino potrà avere nell’immediato, poi avrà poche chance di restare protagonista nella politica che conta. E alla fine di questa legislatura sarà una chimera il pensiero di riuscire a farsi eleggere nuovamente, perché il suo elettorato era in realtà quello di Cateno De Luca e l’inconsistenza di Italia Viva in Sicilia è un dato di fatto. Ma il mondo è fatto a scale e la vita è fatta di scelte: Chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza.

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