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Popolazione giovanile e imprese in calo, record al Sud

Negli ultimi 40 anni i giovani sono diventati dieci milioni in meno, mentre è raddoppiata la popolazione anziana (da 7,5 a 14,1 milioni); negli ultimi dieci, la perdita di popolazione in Italia (1 mln) è praticamente tutta al Sud (0,9 mln), che ha perso ben 3,3 milioni di giovani; dal 2011 a oggi sono scomparse 165mila imprese giovanili e il tasso di imprenditoria giovanile si è ridotto del 2,9%; senza questa perdita di imprese giovani, oggi avremmo 42 miliardi di Pil in più e, se nei prossimi 10 anni questa quota di imprese crescesse del 5%, nel 2033 la quota di Pil aggiuntiva sarebbe pari a oltre 74 miliardi.
Sono questi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio denominata “L’importanza dell’imprenditoria giovanile per il benessere economico” e presentata oggi a Bari dal direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella, in occasione del Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.

L’obiettivo dello studio è quello di dimostrare che la crescita del benessere dipende in modo cruciale dal tasso di imprenditoria giovanile, veicolo di innovazione, scommessa sul futuro, piena e responsabile assunzione del rischio di esplorare vecchi e nuovi problemi e sperimentare nuove soluzioni. “Senza gli imprenditori, che quando entrano nel mercato sono quasi sempre giovani”, si legge in una nota, “la crescita economica si dissolve. Solo i giovani, e soprattutto i giovani imprenditori, possono imprimere una svolta alle tendenze in atto. Serve un ritorno alla società imprenditoriale. E i giovani devono esserne i costruttori e i protagonisti”.

Altri dati rilevati dalla ricerca vedono il sud non soltanto soffrire per l’emigrazione dei propri giovani, ma anche essere poco attrattivo per gli immigrati. Anche la transizione demografica è tra l’altro indicata tra le cause della perdita delle imprese giovani. Se è vero che la popolazione scende dell’1,8% e quella della fascia 25-39 scende del 17,9%, lo è anche che il totale imprese scende del 2,8% ma quelle giovani del 26,3%. Con la conseguenza aritmetica che è proprio il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, a ridursi, di ben 2,9 punti percentuali assoluti tra il 2011 e il 2022.

“La riduzione del tasso di imprenditoria giovanile – si legge nella nota – è costosa in termini di crescita della produttività dei fattori e di quella sistemica, quella che una volta si chiamava progresso tecnologico. Il perchè può anche essere raccontato sulla base di uno scrutinio delle competenze e delle abilità della popolazione italiana per fasce di età. Di solito ci si ferma all’utilizzo di Internet e già si vede che lo scarto è ampio. Se poi si indagano le competenze e abilità su attività e ruoli complessi gli scarti raddoppiano o addirittura triplicano: sono gli imprenditori (e i manager, sia chiaro) che devono portare nel tessuto produttivo queste competenze. Senza o con meno giovani imprenditori stiamo semplicemente rinunciando alla crescita della produttività”.

Mettendo in relazione quantitativa imprenditoria giovanile e crescita di lungo termine su base provinciale in due punti distanti nel tempo (tenendo conto delle condizioni economiche strutturali della provincia), i risultati dell’analisi indicano inoltre che la quota di imprenditori giovani sul totale ha un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità, appunto di altre condizioni. 0,7% vuol dire che, se in un anno e in una provincia la quota di imprenditori aumenta dell’1%, il Pil cresce dello 0,7% in più rispetto a uno scenario base in assenza di variazione della propensione giovanile all’imprenditoria.
In termini prospettici il report evidenzia che, se da domani e per i prossimi dieci anni la frazione di imprese giovani crescesse del 5%, con distribuzione uniforme nei prossimi 10 anni, a parità di altre condizioni, nel 2033 il Pil sarebbe maggiore del 3,5% rispetto allo scenario base (crescita dell’1%), pari a oltre 74 miliardi di euro aggiuntivi a prezzi costanti.
“Quello che è mancato – conclude la nota – è l’attenzione ai giovani e alla giovane imprenditoria, la parte più vitale della società imprenditoriale, specialmente nel terziario di mercato e che, sola, può salvare il nostro Mezzogiorno”.

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