HomePoliticaDelitto a Taormina: così veti e veleni hanno "ucciso" la politica

Delitto a Taormina: così veti e veleni hanno “ucciso” la politica

TAORMINA – Lo avevamo detto e scritto in tempi non sospetti che l’ombra dei veti, dei rancori e dei veleni avrebbe logorato e indirizzato il destino della campagna elettorale a Taormina in termini determinanti. Era tutto ampiamente prevedibile. Il fatto personale, al netto delle ossessioni da poltrona, ha ucciso la politica con una lenta e inesorabile faida in stile gomorriano nella quale – politicamente parlando – si sono eliminati tutti i vari protagonisti ed è andato in scena un harakiri generale sia da parte dell’opposizione che della stessa Amministrazione in carica.

“Su di lui io non ci sto”, “con lui non vado”, “Tizio faccia un passo indietro su di me”, “Se c’è Caio non ci sono io”. E’ tutta qui la sintesi della corsa al voto del 28 e 29 maggio prossimo. Il filo conduttore è stato e continua ancora ad essere lo stesso: un confronto con un forte accento individuale, caratterizzato da un antagonismo esasperato che ha avvelenato il clima. Posizioni irremovibili, con tanti saluti alla politica e ai romanticismi del bene comune. I discorsi sulla visione futura di Taormina? Boh, non pervenuti. E peggio ancora arrivederci al dialogo franco e aperto, senza retropensieri.

La prospettiva sulla quale si dovrebbe ragionare, ma seriamente e non nell’alveo delle bestialità social, a Taormina è quella del dopo il voto. Nel momento di una ripresa dell’economia e del turismo che imporrebbe un minimo di coesione di intenti, a fronte di un territorio dove non c’è più soltanto l’approdo piratesco di “saltafossi” e l’impianto strategico di “lavatrici” ma arrivano investimenti veri, importanti e prestigiosi, c’è una Taormina che a partire dai suoi attori principali e sino all’ultimo dei suoi residenti, si perde nella dimensione della lite di condominio.

A Taormina non finisce l’eterna stagione della contesa “pro domo sua” – dalle lotte per le poltrone al palazzo municipale al pezzo di suolo pubblico, piuttosto che per una concessione edilizia – e il tessuto sociale ed economico rimane ostaggio dei retaggi di una mentalità provinciale che stride e stona con le ambizioni di una località turistica che vive di turismo straniero e vanta una vocazione all’internazionalità.

Il problema non è chi vincerà le elezioni del 28 e 29 maggio 2023 e chi restringe il perimetro della questione al sostenere un candidato sindaco piuttosto che un altro, non ha capito un ca**o. Il punto è quale sarà la Taormina del 30 maggio.

Con quale testa si sveglierà la gente. Avremo una città che saprà alzare l’asticella e lasciarsi alle spalle le piccole polemiche del momento e la pochezza conclamata (amen) della sua classa politica, elevandosi oltre il cortile e le solite invidie di paese. Oppure avremo una Taormina divisa, una comunità spaccata che proseguirà sull’onda lunga della sua inguaribile attitudine collettiva al “fatto personale” , protesa al paesanismo più ostinato e retrò. Chi vivrà vedrà. Nel frattempo una riflessione andrebbe fatta.

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