HomeEditorialiSanremo, l'inguardabile circo dei mediocri elevati a divi

Sanremo, l’inguardabile circo dei mediocri elevati a divi

Un tempo li chiamavano dilettanti allo sbaraglio, oggi li definiscono “big in gara”. La settimana del Festival di Sanremo, ove mai ce ne fosse bisogno, ricorda a tutti, o perlomeno a chi è in grado di comprenderlo, perché poi all’estero ci prendono in giro e l’Italia passa per il Paese delle sceneggiate. Fermi tutti, l’Italia si blocca, da una settimana non si parla d’altro nonostante le cose serie a cui pensare dovrebbero essere ben altre. I fans fremono (e amen, ci si può stare), i cassamortari dell’informazione cavalcano l’onda e vivisezionano ogni istante della rassegna raccontando tutti i momenti più inutili minuto per minuto, in tv è un bombardamento di highlights, analisi e opinioni sul nulla, chiacchiere su chiacchiere. Per la serie “chi se ne frega?”.

Se scorri l’elenco dei cantanti in concorso, ad esclusione di grandi voci come Giorgia (la più brava per distacco, avanti anni luce), e gli “eterni” Massimo Ranieri e Marcella Bella e pochi altri, attorno è un deserto dei tartari. Sanremo 2025, come del resto quelli degli ultimi 10-15 anni almeno, è un “parco giochi” di illustri sconosciuti elevati al rango di grandi artisti, figuranti da localini di quartiere considerati novelli divi della canzone italiana. Gente che gode della spintarella dei discografici di turno e col vento in poppa dei social, e che tuttavia – per essere chiari – sino agli Anni Ottanta e Novanta non avrebbe potuto neanche sognare di affacciarsi alle preselezioni di Sanremo. C’era una volta il Festival dei veri cantautori e c’è adesso un parco giochi di concorrenti che farebbero quasi sorridere se il livello complessivo non facesse piangere. C’è chi spunta in pigiama, con la vestaglia del nonno o la pelliccia della zia, altri con un simil sacco della spazzatura addosso o con abiti 7 taglie più grandi, altri ancora esibiscono più tatuaggi che contenuti neuronici, personaggi che infischiandosene del contesto salgono sul palco con il vestito da notte e se ne vantano. Qualcun altro, per togliersi il pensiero, si presenta direttamente semi-nudo. Volti improponibili e fuori dagli schemi ma l’anticonformismo potrebbe pure essere una cosa buona, se fosse accompagnata da un’identità e una personalità che qui sembra latitare. Siamo di fronte all’ostentazione quasi esasperata, un pò malinconica, di un’immagine forzata e surreale di se stessi. Un paio di “big” di questo Sanremo dovrebbero iscriversi ad un corso di normalità, con l’abc della vita. Li vedresti molto meglio in una commedia all’italiana, magari in uno sketch da cinepanettone o più semplicemente dietro la bancarella del torrone. Eppure li hanno catapultati all’Ariston, per colmare un vuoto artistico e generazionale, forse perché i veri big ormai sono pochi e a Sanremo neanche ci vanno più. Insomma, oltre la solita retorica, il Festival di Sanremo dei bei tempi è un’altra storia, è andato e non torna.

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Basterebbe scorrere l’elenco dei cantanti per farsi un’idea. Non è difficile immaginare cosa penserà dal divano di casa il grande Pippo Baudo, assai più facile è immaginare lassù da qualche parte la faccia degli indimenticabili Mike Bongiorno, Corrado e Raimondo Vianello. Eppure va detto che forse l’unica nota lieta del Festival di Sanremo (o di quel che ne rimane) è Carlo Conti, professionista serio e capace. Uno che la ribalta se la merita e la gavetta l’ha fatta davvero, perlomeno lui tenta di alzare un livello che è basso, ci prova a dare sobrietà ad una rassegna dove i concorrenti lo stile non sanno neppure dove sta di casa. Di sicuro anni luce distinto e distante da altri pseudo-conduttori e almeno sulla scelta del presentatore/direttore artistico qui nulla quaestio. Tutto il resto è un pianto greco, un trionfo di fuffa sublimata come quando friggi il pesce con l’acqua e ne fai un piatto cult. Un improponibile circo raccontato minuto per minuto, spacciando la comparsata di un paio di improbabili non celebrità per l’evento imperdibile che non è più tale da tempo immemore.

Sanremo è la splendida città dei fiori che per assurdo neanche si vedono più, il festival è sprofondato nella quintessenza della mediocrità e, come detto, diventa anche difficile dire se sia più scarso il livello dei concorrenti o se sia peggio l’orgasmo a chilometro zero di quelli che seguono l’evento e raccontano il nulla vestendolo da main-event, fremono e godono in modalità “riccio piccio” al sol battere le ciglia di questa abbuffata di carneadi.

E’ la settimana (per fortuna sta finendo) dei famosi d’annata, destinati all’oblio, come tante altre meteore. Il presente li esalta e li celebra, poi la storia metterà ordine e li cancellerà senza pietà.

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