La guerra in Ucraina riporta alla mente gli scatti di Sebastião Salgado in «Exodus» e adesso l’appello del fotografo brasiliano si fa più incalzante, perché “non possiamo più permetterci di guardare dall’altra parte”.
Salgado e l’amore per la fotografia
Sebastiao Salgado nasce in Brasile nel 1944, si forma come economista in Brasile e poi in Francia.
L’interesse per la fotografia avviene agli inizi degli anni ‘70, mentre lavorava per l’ Organizzazione Mondiale del Caffe’, e da passione amatoriale in breve tempo diventa una vocazione e un progetto di vita.
Salgado trova subito una nicchia di cui diventa protagonista, documentando come i cambiamenti ambientali, economici e politici condizionano la vita dell’essere umano.
Il dramma della guerra
Nei suoi scatti Salgado sceglie di essere alleato di chi soffre. Le sue immagini raccontano le ferite dell’umanità, la tragedia del Vietnam, l’agonia dei curdi, le migrazioni alla frontiera del Messico, i barconi in balia del Mediterraneo.
Disperazione, istinto di sopravvivenza, paura, speranza, coraggio e dignità sono i sentimenti che emergono dai volti immortalati da Salgado. Uomini e donne che compiono un lungo cammino, accompagnati dalla paura di lasciare la propria casa per andare nei campi profughi, sperando in una vita migliore.
Il dramma della guerra è raccontato in tutta la sua crudezza, facendoci interrogare sul come l’uomo può essere artefice di tali atrocità. Un’umanità che sembra reiterare i propri sbagli, che non smette di fare guerre e persecuzioni, aumentando il divario fra ricchi e poveri e che non ha alcuna cura del pianeta di cui è ospite. La crudeltà che vede durante i suoi reportage nei diversi continenti portano Salgado ad una sola conclusione sugli uomini, “siamo animali molto feroci, siamo animali terribili noi umani. La nostra è una storia di guerra, una storia senza fine, una storia folle.”
La natura come simbolo di salvezza
Profondamente toccato dalla crudezza delle scene viste durante il genocidio in Ruanda, Salgado torna in Brasile e decide di dedicarsi ad un progetto ambientale.
“Il viaggio in Ruanda, teatro del sanguinoso genocidio, mi segnò profondamente, tornai in Brasile che mi sentivo malato dentro, in shock – afferma Salgado – fu la natura a salvarmi, con mia moglie decidemmo di batterci contro la deforestazione, con la nostra fondazione Istituto Terra piantammo migliaia di alberi in una parte della regione brasiliana Minas Gerais, oggi divenuta riserva naturale”.
Da quell’esperienza è tornata in lui la voglia di ricominciare, questa volta cambiando il soggetto delle sue foto per narrare i luoghi incontaminati del pianeta. Nasce il progetto fotografico Genesi che lo vedrà impegnato per 8 anni.