HomeAperturaLa svolta di Renzi: sì a Meloni, patto contro Pd e Conte

La svolta di Renzi: sì a Meloni, patto contro Pd e Conte

Era nell’aria ormai da tempo che Matteo Renzi avrebbe virato a destra. E se così non è, a questo punto poco ci manca. Renzi ha deciso che ci sta. Sulla riforma del premierato il leader di Italia Viva ha fatto sapere che vuole collaborare con Giorgia Meloni. E promette correttezza istituzionale, il chè, detto da Renzi, è una notizia nella notizia. Meloni farà bene a non stare “serena” ma la prospettiva porta ad un allargamento dell’attuale centrodestra, con la parabola di Silvio Berlusconi che per un’ovvia questione di tempo e di salute, si concluderà tra non molto tempo e allora eccolo Renzi, che – dopo aver salutato Carlo Calenda – guarda con interesse a Forza Italia e ha deciso di avvicinarsi all’attuale governo, prendendo invece in via definitiva (?) le distanze dalla sinistra.

L’apertura del capo di Italia Viva alla Meloni arriva all’indomani dell’uscita della premier, che ha promesso che farà le riforme «anche senza Schlein e Conte». E proprio mentre il Pd pensa a una controproposta sul presidenzialismo che guarda alla Germania. «Io dico alla Meloni: vai avanti, noi sul premierato ci stiamo anche se non ci stanno gli altri e saremo corretti con voi a differenza di quanto fece la destra con le nostre riforme», dice Renzi in un’intervista a La Stampa. Nella quale dice che il “sindaco d’Italia” e il superamento del bicameralismo «non delegittimano assolutamente il presidente della Repubblica».

Sulle riforme la maggioranza èd a un bivio. C’è chi punta – osserva in un interessante approfondimento Open, il quotidiano online di Enrico Mentana – all’approvazione di un testo a colpi di maggioranza. E chi invece vorrebbe raggiungere un accordo ampio. Vedendo chiari i possibili rischi politici di un muro contro muro sulla Carta. I fautori della prova di forza sono convinti di poter vincere a mani basse il referendum confermativo. I sostenitori della prudenza, memori dell’esperienza vissuta proprio da Renzi, sembrano più pessimisti. E temono che una sconfitta al referendum possa rappresentare uno scoglio contro cui potrebbe infrangersi il governo e la maggioranza che lo sostiene. Nel colloquio con Carlo Bertini il leader di Iv offre una sponda: «La democrazia è in crisi, ovunque. Se non stabiliamo un rapporto diretto tra cittadino e politico, continuiamo ad allargare il gap di rappresentanza. Pensi a Conte: prima di essere nominato premier, non aveva mai fatto neanche il consigliere di facoltà».

L’ex premier ricorda il ruolo dell’Avvocato del Popolo nei governi della scorsa legislatura: «Però il sistema gli ha permesso di guidare il Paese in uno dei momenti più importanti della storia repubblicana. Io che pure ho fatto primarie su primarie, sono stato eletto presidente della provincia e poi sindaco, avevo avuto il voto di milioni di persone e sono entrato a Palazzo Chigi da non parlamentare. Bisogna far sì che il capo del governo sia scelto dai cittadini». E Renzi respinge anche l’idea che così Iv faccia da foglia di fico al governo: «La dico in modo chiaro: non faremo alla destra ciò che la destra ha fatto a me. Allora, pur di mandarmi a casa fecero saltare riforme che servivano al Paese. Dico a Giorgia Meloni: se sei seria e fai riforme serie, sulle riforme costituzionali noi ci siamo, anche se non ci stanno gli altri. Essere riformisti non è uno slogan, è una vocazione».

Al di là delle tesi della premier, nella maggioranza emergono evidenti forti differenze tra falchi e colombe. Una spaccatura non tanto sul modello da adottare, quanto sulla strategia da intraprendere per raggiungere il risultato finale. Ma Renzi sulla controproposta del Pd risponde così: «Questa idea che il capo del governo debba non essere eletto denota una sfiducia nei confronti degli elettori che rafforza chi non crede più nella democrazia. Se sei democratico, dai fiducia al voto popolare. Se hai paura del voto della gente, va bene ma non sei democratico».

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