Come ogni sabato da 39 settimane, a Tel Aviv gli attivisti politici protestano contro il governo davanti al ministero della Difesa. É il il primo Shabbath, il giorno di riposo ebraico, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre e i manifestanti sostengono le famiglie degli ostaggi che chiedono il loro immediato rilascio.
Nella folla Shira Elbag mostra la foto della figlia Liri, 18 anni, sorpresa nel sonno dai miliziani e portata a Gaza dalla base militare alla quale era stata assegnata durante la leva, che nel Paese è obbligatoria anche per le donne, e rappresenta un rito di passaggio per la società israeliana. “La rivoglio indietro”, dice Elbag: “Non voglio combattere, credo che non lo vogliano neanche a Gaza. Nessuno lo vuole. Vogliamo tutti solo vivere in pace”.
Sono almeno 150 i civili israeliani tenuti in ostaggio a Gaza, e secondo Hamas una ventina sarebbero morti sotto i bombardamenti dell’Idf. Anche la moglie e i figli di Avichai Brodetz mancano all’appello. Sono stati rapiti dalla loro casa vicino al confine con la Striscia e di loro non si hanno notizie da più di una settimana.