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Fermi tutti, c’è Sanremo: ma l’italiano ci è o ci fa?

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I problemi economici delle famiglie? Poi se ne parla. Il lavoro che non c’è e quelli che vengono sfruttati o sotto-pagati? E che ci vogliamo fare, pazienza. Il Premierato? Ah ecco, quello è importante, ci giochiamo le poltrone ma ne riparliamo lunedì prossimo. Ma perché la prossima settimana? Perché adesso l’Italia si ferma, c’è il Festival di Sanremo. Verrebbe da dire un accorato “e chi caxxo se ne frega” ma non vorremmo essere profani. E allora fermi tutti, sintonizzatevi su RaiUno, godetevi lo spettacolo e ascoltatevi le canzoni, anche se sembrano già tutte una chiavica. Le potete riascoltare nei vari programmi che dal 7 del mattino alle 8 di sera mandano in onda speciali non stop sull’evento dell’anno. Se vi piace sintonizzatevi, altrimenti sciroppatevi la maratona comunque.

La prima serata della 74ª edizione del Festival conferma il paradosso meraviglioso di un evento che sul piano artistico è ormai declinante da anni, probabilmente dai tempi di Pippo Baudo, e che tuttavia fa il 65% di ascolti. Avete capito bene, il 65%, che tradotto significa 6 italiani su 10 tra quelli davanti alla tv. E altrettanti italiani vedranno le prossime serate.

Ti aspetti, insomma, di vedere in gara artisti di un certo spessore e poi ti ritrovi al solito, big che non hanno niente di un big. Vengono scelti e fatti salire sul palco dell’Ariston cantanti che un tempo non sarebbero entrati a Sanremo nemmeno con lo scopettone in mano per togliere la polvere nei camerini, eppure oggi sono considerati delle star della canzone italiana. Idoli della generazione dei figli dei pandori, e fanno pure tendenza per il loro abbigliamento da fritto misto iper-eccentrico. La moda è moda. Nostalgici della normalità e di un certo stile, rassegnatevi.

E allora è inevitabile chiedersi se l’italiano ci è o fa. In passato, perlomeno, il Festival di Sanremo aveva una signora caratura, con artisti di alto livello e di altro stile, che proponevano brani godibili e che poi sono rimasti nell’immaginario collettivo e nelle orecchie della gente per tanti anni. Chiedetevi o domandate a qualcuno quante canzoni si possono ricordare delle ultime edizioni del festival. Al netto di qualche temerario, vi risponderanno: nessuna. La qualità è modesta, scadente. Quasi fa sorridere, fa pure tenerezza perché c’è chi prova a sembrare qualcuno e ad atteggiare a personaggio, spinto e galvanizzato dal popolino. Ma l’italiano, d’altronde, è il solito, si fa trascinare nel vortice dell’omologazione e poiché c’è Sanremo lo guarda e fa la maratona tv, lo commenta sulle chat, sullo smartphone e in tutte le salse. Lo sviscera in tutte le salse immaginabili. Anche se è poca cosa, l’italiano si mette a fare grandi dibattiti su brani che non hanno niente da dire e nulla da dare. Addirittura c’è chi prova a intonare e canticchiare brani che sembravano ineseguibili persino ai cantanti stessi. Si esaltano e si entusiasmano. Boh.

La prima serata vede in vetta alla classifica Loredena Berté. Ma, diciamolo con estrema franchezza, è un primato che va oltre la godibilità del suo brano. E’ un riconoscimento morale, legato alle tante vicissitudini umane vissute da questa artista che è anche soprattutto una donna che merita grande rispetto. Berté è caduta tante volte e si è rialzata altrettante, nonostante la vita sia stata assai poco clemente con lei. Non ha mai mollato. Certamente è un esempio di buona volontà e dimostra come si debba approcciare la vita stessa senza buttarsi giù anche nei momenti più drammatici.

Per il resto cosa rappresenta questo festival non si sa. Fa effetto anche vedere artisti di rilievo come Fiorella Mannoia concorrere in una competizione con altri nomi sconosciuti. L’Italia si immerge a piene mani nell’arte del celebrare il rito collettivo di un evento che ha una lunga tradizione ma che ha fatto il suo tempo ed è diventato nell’ultimo ventennio espressione trita di un nulla cosmico, sul piano canoro e culturale, una rassegna che mette la polvere sotto il tappeto e mette in mostra una pioggia di lustrini e sceneggiate varie, con una lunga serie di figuranti sul palco. Il resto lo fa l’enfasi mediatica di un’Italia che non ha eguali nella capacità di friggere il pesce con l’acqua. Poi ovviamente i social centrifugano e amplificano il circo del nulla elevandolo ad un evento nazionalpopolare che paralizza il Paese.

Le questioni importanti dell’Italia? Rimandiamole, sino a sabato sera c’è il Festival di Sanremo. Hanno pure istituito un treno speciale solo per i dirigenti Rai, ed è arrivato persino in anticipo in terra ligure. Roba da redenzione per il ministro Lollobrigida.

Ma c’è di più. Eccolo il vero capolavoro degli italiani. Si immergono nel Festival di Sanremo a tal punto da decidere di usare i nomi degli artisti e le loro canzoni per le loro password. Uno studio dell’azienda di cybersecurity NordPass, ha rivelato infatti che con il Festival, gli utenti scelgono sempre più nomi legati alla kermesse sanremese, per nuove password oppure per aggiornare quelli esistenti. Avete capito bene: c’è chi sceglie la propria password con il nome del cantante in gara a Sanremo o con il titolo di un brano in gara in questa edizione del festival. Un inno alla riapertura dei manicomi.

La canzone di Ghali, Giovanna Allevi e Alessandra Amoroso (non chiedeteci quale sia questa canzone, boh) ispirano alcune password degli italiani e lorma uno studio dell’azienda di cybersecurity NordPass, secondo cui, con l’avvicinarsi del Festival, gli utenti scelgono sempre più nomi legati alla kermesse musicale per creare o aggiornare le parole chiave dei loro servizi online mettendoli anche a rischio vista la prevedibilità.

Ad esempio “casamia01” che prende spunto dalla canzone con cui Ghali è in gara (ah ecco, cosi si chiama) è una password utilizzata da 279 italiani. Così come “amoremio”, che si ispira alla parola presente in tanti testi di Sanremo 2024, è utilizzata da 723 italiani come password. L’elenco è stato stilato in collaborazione con ricercatori indipendenti ed è stato analizzato un archivio di 3 terabyte. I nomi di alcuni partecipanti al Festival sono tra le chiavi più comuni: “giovanni” (usata al momento da 881 italiani), “alessandra” (711), “Gigi2960” (708), “Mpaola62” (704), “Marco2002” (502), “roberto” (462), “chiara” (333), “Leoleo123!” (290) e altri. L’elenco è stato stilato in collaborazione con ricercatori indipendenti ed è stato analizzato un archivio di 3 terabyte.

Ci rendiamo conto del livello? Mentre si dovrebbero aggiornare le password in una modalità più complessa e preferibilmente attivare l’autenticazione a due fattori, c’è chi si consegna invece agli hacker a mani nude con password prevedibili e facilmente violabili. Ma l’italiano ci è o ci fa? Noi un’idea ce la siamo fatta e – per chi non l’avesse capito – con fierezza facciamo parte di quel 25% di telespettatori che non guardano questo festival. La vera canzone italiana è un’altra storia. Andate in pace, omologatevi e godetevi lo spettacolo.

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