La tv italiana è diventata da due anni, quasi tre, a questa parte uno show che da un canale all’altro si regge sulla pandemia che va in onda h24 e su tutto ciò che ha stravolto il mondo e si è preso la normalità delle nostre vite. Al di là degli aspetti, evidentemente preminenti, che riguardano la salute, i contagi e vaccinazioni, ma soprattutto delle tante persone che hanno perso la vita in questo tempo, di questa brutta vicenda – quando sarà finita – ricorderemo l’insopportabile circo mediatico non stop, che è stato montato per trattare l’argomento. Un tritacarne pietoso e meschino, fatto di tanti volti che hanno esagerato e altrettanti che senza neppure avere arte né parte sono diventati protagonisti di un dramma convertito a teatrino.
Restringiamo il perimetro della discussione e facciamolo sul peggio del peggio che sin qui hanno dato due figure in particolare: i virologi e i giornalisti. Si tratta di categorie professionali che, dal proprio punto di vista e ciascuno col proprio ruolo, avrebbero dovuto essere figure centrali agli occhi della gente e fare la propria parte con maggiore pacatezza, col massimo senso di responsabilità e senza speculare sull’opportunità di trarne vantaggi e visibilità. Bisognava misurare anche le gocce di saliva per ogni parola da pronunciare, consapevoli del peso che ogni frase può avere in un momento come questo. E invece a briglie sciolte abbiamo visto e sentito, e continuiamo ad ascoltare ancora adesso, tutto ed il contrario di tutto. Volgarmente ci verrebbe da dire: è un’orgia di minchiate con una squadra di minchioni alla ribalta.
I virologi sono diventati star del mainstream, pronti ad intervenire in ogni programma, passando da un canale all’altro, quasi avessero il dono dell’ubiquità. E’ una corsa sfrenata all’apparizione e al qualificarsi come esperto (ma di cosa?). Vai su un canale e li senti annunciare che la pandemia sta finendo, poi cambi canale e ne trovi un altro che profetizza la quarta ondata, anzi ti accorgi che era persino lo stesso identico virologo che a distanza di qualche giorno ha detto X e poi ha dichiarato Y. Sarebbe bastato premettere ad ogni intervento la verità più semplice delle cose: l’ipoteticità di ciò che potrebbe accadere ma non è detto che avverrà. Perchè in fondo ancora oggi cosa sappiamo di questa pandemia e del virus? Poco, decisamente poco ed il resto è un mare aperto di “forse” che non possono essere considerati una verità assoluta e inconfutabile. Invece eccoli, come stregoni, sapientoni e talvolta persino con approccio tronfio e piacione e pavoneggiante, a predire il nostro futuro quando non siamo neanche padroni del presente. La medicina meriterebbe maggiore ponderatezza. Anche solo per rispetto dei medici e degli infermieri che il Covid lo hanno combattuto davvero, non in poltrona e in tv, ma nei reparti d’ospedale e nelle terapie intensive, contagiandosi e anche perdendo la vita. Sparare idiozie in tv o sui giornali è un’altra storia, più comoda e assai meno dignitosa.
E poi “cartellino rosso” per loro, i giornalisti. Una categoria in cui quelli che la professione, quella vera e seria (imparata a contatto col marciapiede e quando nemmeno esisteva Internet), siamo rimasti in pochi a masticarla e praticarla mentre spuntano come funghi “fighetti 2.0” da salotto. Quelli che si mettono in giacca e cravatta per fare le star di carta: li vedi in tv non a condurre o a raccontare con sobrietà ma a superare il Rubicone del proprio ruolo, a fare pure loro i novelli virologi e dire (a che titolo?) che “è solo un raffreddore, non abbiate paura”, poi “attenzione, qui rischiamo di morire tutti, la situazione è drammatica”. Incredibile eppure vero, ci troviamo persino a vergognarci di vedere la sfida tra giornalisti “Sì Vax” e giornalisti “No Vax”, che si scannano e quando non possono esporsi platealmente aizzano l’ospite di turno. Li vedi a scatenarsi, in uno stato demenziale di eccitazione mediatica, a litigare sul green pass e sui vaccini, oltre il proprio ruolo, a debordare come fossero oracoli e caricarsi per ergersi a depositari della scienza infusa. Ma questo non è giornalismo, è la triste cattedra di soldatini pervasi da una penosa vanità d’annata. E’ un modo di fare informazione neanche degno di essere chiamato tale, una recita deprimente che non ci appartiene e sulla quale fa bene la gente ad indignarsi. La professione non va demonizzata, esige rispetto, sia chiaro e non saremo mai dalla parte di certi imbecilli che si perdono nei luoghi comuni astiosi e nelle rime ottuse come “giornalisti terroristi”, eppure condividiamo un amaro pensiero che va detto: l’80% almeno dei giornalisti attuali in Italia sono scarsi, convinti di una ribalta che oggi li gasa, li esalta, burattini di un circo che li usa e poi domani li cestinerà senza pietà. Carneadi da Covid show, la prima linea del mestiere siamo un’altra cosa.