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Ospedale di Taormina in “coma”: resta una cosa da fare per non farlo morire

TAORMINA – Il punto di non ritorno stavolta è vicino e la questione sembra ormai irrimandabile. L’ospedale San Vincenzo di Taormina rischia di arrivare al capolinea nei prossimi mesi, tra reparti che non hanno personale in organico a sufficienza, medici che se ne vanno e altri che non vogliono venire e preferiscono altre sedi, strumentazioni che attendono un lifting che non arriva. E poi ci sono soprattutto loro: i pazienti, che in alcuni casi prenotano una visita che arriverà addirittura tra un anno, in altre circostanze si sono rassegnati, per una emergenza, ad arrivare in ospedale al mattino e uscire la sera o magari a rischiare di essere trasferiti in qualche altre presidio.

L’ospedale di Taormina non è un problema dei soli addetti ai lavori, non è una rogna che riguarda soltanto un paio di persone, è un’emergenza che interessa tutti, nessuno escluso. Le metafore non rendono l’idea e non c’è spazio per fare giri di parole, forse un concetto poco oxfordiano invece può far capire a che punto stanno le cose: o si risolvono le criticità di questo ospedale o saranno cazzi amari per tutti i cittadini dell’intero comprensorio di Taormina.

Le soluzioni tamponi non bastano più. La stagione delle promesse e dei palliativi è durata tanti, troppi, anni e i frutti amari di questa situazione si raccolgono in modo impietoso in questo inizio d’estate.

Gli esempi sono parecchi e sotto gli occhi di tutti: il Pronto Soccorso è in una condizione di sotto-organico, le persone sono costrette a 6-7 ore di attesa, servirebbero altri medici per rinforzare un organico ridotto ai minimi termini. Stessa musica in Cardiologia, identico trend in Ortopedia, e poi c’è l’Urologia, storico reparto di questo presidio, sul quale rischia di calare il silenzio nell’indifferenza generale. Le sale operatorie sono state ristrutturate ma non ancora consegnate ed è un’attesa che preoccupa e non trova una svolta. Diversi altri reparti navigano a vista e affrontano criticità quotidiane. La condizione generale del presidio coincide con uno status di sofferenza diffusa e persistente – per dirla in gergo medico – e i sintomi rischiano di aggravarsi in modo irrimediabile.

Intendiamoci: i problemi del San Vincenzo non nascono oggi, vanno avanti e si protraggono da tanti anni e le responsabilità vanno ricercate da 15-20 anni almeno a questa parte. Conta zero la ricerca delle responsabilità, rimpalli e scaricabarile vari. Il caso va affrontato per essere risolto, il toro stavolta va preso per le corna, non per il deretano.

La politica ha da sempre a cuore altri territori, inutile nasconderlo, lo si sa. Altrove c’è un terreno assai più fertile perché il San Vincenzo si trova pur sempre in una cittadina di 11 mila residenti e tutti i 24 comuni del distretto sanitario, messi insieme, non fanno i numeri di un capoluogo di provincia. Ma il diritto alla salute e il dovere di garantire una struttura ospedaliera al massimo dei suoi standards possono ridursi ad una mera questione di densità demografica-elettorale? Certamente no. Eppure accade, d’altronde siamo in Italia e siamo in Sicilia, nella terra dei gattopardi.

L’ospedale di Taormina non è più da un pezzo la capanna periferica dello zio Tom. Parliamo di un ospedale che, nei suoi reparti, al netto dei mille problemi, accoglie un’ampia utenza che va dall’intera fascia ionica sino all’Alcantara e alla cintura etnea. Il San Vincenzo è un ospedale di periferia solo sulla carta: ci sarebbero tutte le condizioni per farlo anche crescere ulteriormente e non a caso diverse unità operative sono orgoglio e vanto, eccellenza della sanità siciliana, pure nel rosicamento di quelli che non hanno mai visto di buon occhio le cose buone che si fanno a Taormina e la crescita di questo nosocomio. La parola d’ordine, anzi, su Taormina è stata spesso un’altra: “segare” le gambe al San Vincenzo, per non farlo diventare troppo grande. Perché le cose grandi poi ingombrano e tolgono spazio in casa altrui.

E allora quale può essere la soluzione? La risposta può essere quella delle solite crociate del “No al depotenziamento”, un’ennesima levata di scudi che si accende sull’onda sul momento ma poi si spegne poco tempo dopo come fosse uno yogurt a scadenza? Bisogna fare altri documenti congiunti a firma degli amministratori del comprensorio? E’ cosa buona e giusta, è corretto se ciò avverrà ma la politica a certi livelli non vive di sentimentalismi territoriali e la storia insegna che le valutazioni della rete sanitaria hanno poi inflitto schiaffi a ripetizione all’ospedale di Taormina.

Bisogna andare a Palermo e battere i pugni? Lo si è già fatto in passato e al netto di qualche risposta consolatrice, i problemi poi si sono puntualmente ripresentati.

La verità è sotto gli occhi di tutti: l’ospedale di Taormina è come un malato al quale si sta togliendo l’ossigeno, poco alla volta, non da oggi ma da anni e che ha perso un centinaio di posti letto mentre la politica del territorio era affaccendata in altro, illudendosi che poi la cosa la si sistemerà in qualche modo.

Il malato è grave e non c’è altro tempo da perdere in chiacchiere: la politica di questo territorio, prima di firmare documenti e lanciare appelli, deve mettere gli attributi sul tavolo e avviare una battaglia per l’unica terapia che può dare dei risultati efficaci. L’ospedale di Taormina (che oggi è parte integrante dell’Azienda sanitaria di Messina) va reso azienda autonoma: l’occasione c’era già stata anni fa, quando mancava soltanto l’apertura di un reparto di Neurologia per arrivare a questo obiettivo.

Oggi la via è stretta, tanto più perché siamo alle porte del voto per le Regionali, ma non ci sono alternative: Taormina deve pretendere di distaccarsi da Messina e far attivare le procedure per diventare – lo ripetiamo – un’azienda autonoma -. Bisogna tagliare il cordone ombelicale con Messina e se non si è avuto il coraggio di farlo nella (fantozziana) riforma delle province ai tempi dello sciagurato governo Crocetta, deve provare a farlo nella sanità. Così come c’è da difendersi dal vento di scirocco che soffia forte da Catania, e ovviamente pure da Palermo.

L’autonomia può essere la cura. Il resto servirà a poco. Bere o affogare, anzi sopravvivere (per quanto altro tempo?) o morire: l’ospedale di Taormina stavolta è all’ultimo bivio. Liberarlo per salvarlo, ora o mai più.

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