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Meloni avverte Tafazzi e becchini

Nel suo primo discorso alla Camera da premier Giorgia Meloni fa vedere subito di volersi giocare la sua chance al governo del Paese. Tanti i temi toccati, in prima battuta ad inizio seduta e poi nella replica finale, dopo gli interventi dei deputati, in attesa di ottenere la fiducia al suo governo. Tra i punti salienti, ad esempio, il Reddito di cittadinanza. “Ho sentito dire che consideriamo colpevoli i percettori del Reddito di cittadinanza. Non ho mai considerato il problema i percettori del Reddito – ha precisato – ma le risposte inadeguate che si danno a quei cittadini”. E poi si è soffermata sul Pnrr: “I soldi sono a debito, vanno spesi bene”. Ha parlato di Europa: “Non crediamo nell’Europa, non c’è stata alcuna giravolta ma non mi si venga a dire che l’europeismo è quello della Germania di queste settimane”. Meloni, ovviamente, ha dedicato una parte del suo discorso anche i migranti: “Bisogna governare i flussi, altrimenti le persone che arrivano qui finiscono poi nelle mani di chi gestisce lo spaccio di droga e la prostituzione e non si può neanche speculare su queste persone per consentire ai datori di lavori di speculare e gestire il lavoro alle proprie condizioni”. “Alla fine di questa avventura – ha aggiunto Meloni – a me interesserà una sola cosa: sapere che abbiamo fatto tutto quello che potevamo per dare agli italiani una Nazione migliore. State certi che non ci arrenderemo, non indietreggeremo, e non tradiremo”.

Meloni indica le linee programmatiche dell’esecutivo e intanto, pure in questa nuova veste, mostra una personalità e una leadership che fanno difetto ai suoi discoli compagni di avventura nel governo di centrodestra e che – ad eccezione dell’antipatico ma scaltrissimo Renzi – latitano pure nelle tre opposizioni. Non sarà semplice piegare la resistenza di Giorgia Meloni, che la politica l’ha imparata e la mastica sin da quando aveva 14 anni e dopo una lunga gavetta si ritrova a guidare un governo e venderà cara la pelle, in primis ai suoi alleati se pensano di imporle veti e ricatti o di farle poi le scarpe.

I fatti ovviamente diranno se Meloni avrà governato bene o male e se avrà risolto i problemi del Paese e o se, invece, si rivelerà l’ennesimo bluff. Se fallirà saremo i primi – nel senso corretto del termine – a spernacchiarla senza sconti, ma è presto per dare giudizi ed esprimere valutazioni. Nel frattempo appare un teatrino becero di serie B l’immagine di un’Italia rancorosa e invidiosa che critica un premier prima ancora dell’insediamento e peggio ancora le sceneggiate faziose di interi programmi televisivi in cui si fa già il requiem del nuovo governo.

Tutto potrà andare in un modo o nell’altro ma come si fa a sentenziare adesso? E’ la solita Italia dei Tafazzi, quelli della politica del “contro a prescindere”, ed è l’Italia dei becchini dell’informazione, quelli che nei salotti televisivi dovrebbero raccontare i fatti e invece si elevano a commentatori-oracoli, vomitano un disprezzo di parte, talvolta anche per fatto personale, provando a mascherarlo per un’analisi obiettiva della realtà.

Ma a chi serve tutto questo odio e questa cultura del disprezzo? Può aiutare famiglie e imprese a salvarsi dal disastro? Probabilmente no. Può essere utile alle future generazioni a cui stiamo lasciando cenere e debiti? Presumibilmente no. E’ soltanto la liturgia pietosa di segmenti frustrati di Paese, che vivono di un’eterna rancorosità, la esprimono nei palazzi della politica e la corroborano nella vasta platea mediatica. Se ne fregano di sperare che qualcosa possa andare decentemente e che qualche problema venga magari risolto in un paese che da tempo immemore va a puttane. Tifano per i disastri per godere delle disgrazie altri e se ne fregano se la Nazione affonda. E’ la solita faccia di bronzo della politica (tutta) di casa nostra ma soprattutto è il volto asino di una larghissima parte dei giornalisti italiani.

(photo credit: Remo Casilli / Reuters)

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