HomeAperturaJulian Assange, eroe o criminale? Il verdetto dei giuristi

Julian Assange, eroe o criminale? Il verdetto dei giuristi

Un uomo scomodo e un destino che è diventato sempre più quello di un perseguitato. E’ in corso ormai dal 2019 in Inghilterra il procedimento per l’estradizione negli Stati Uniti d’America di Julian Assange, il giornalista fondatore di Wikileaks, nato in Australia. Oltreoceano è accusato di 18 reati contestatigli in larghissima parte in base alle disposizioni dell’Espionage Act del 1917 che punisce, in particolare, le interferenze con le relazioni internazionali e commerciali degli Stati Uniti e le attività di spionaggio: in caso di condanna Assange rischia una pena fino a 175 anni di reclusione. Praticamente viene considerato alla stregua di un serial killer con una lunga raffica di reati, e tra tutte le accuse il comune denominatore è quello di aver toccato personaggi e fatti di cui non avrebbe dovuto interessarsi e dei quali ha messo, invece, tutto in Rete, a disposizione del mondo intero.

In un mondo che non persegue i veri delinquenti, Assange è diventato lui un criminale, anche se per molti è invece un eroe che deve essere liberato.

Per questo, adesso, un gruppo di 119 giuristi ha diffuso un appello per il co-fondatore di Wikileaks. “Come precisato nei suoi rapporti Nils Melzer, dal 2016 al 2022 relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Assange è stato sottoposto ad una lunga e durissima tortura soprattutto psicologica di cui sono a suo avviso responsabili 4 Paesi -affermano i giuristi- Gli Stati Uniti, che lo perseguono per crimini inesistenti, dopo avere a lungo segretato le indagini; la Gran Bretagna, che lo detiene dall’ 11 aprile 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, noto come la ‘Guantanamo britannica’, dopo avere ‘assediato’ militarmente l’Ambasciata ecuadoriana in cui si era prima rifugiato; la Svezia, che ha favorito l’arresto in U.K. di Assange, chiedendone l’estradizione -ma al fine di favorire quella successiva verso gli Usa- per un’indagine per violenze sessuali, tenuta a lungo aperta ed alla fine archiviata per assenza di prove; l’Ecuador, che il 16 agosto 2012 ha concesso asilo e cittadinanza ad Assange per decisione del presidente Correa, ospitandolo nell’Ambasciata londinese dal 19 giugno 2012, ma revocandoli entrambi l’11 aprile 2019, per scelta del nuovo presidente Moreno, e consentendo alla polizia inglese di farvi irruzione ed arrestarlo”.

In particolare, Assange, a quanto risulta, è stato sottoposto a tortura psicologica, almeno dalla fine del 2017 in poi – allorché si trovava ancora nell’ambasciata dell’Ecuador- “con confinamento in spazi ristretti, video controllo permanente anche nel bagno, divieto per un certo periodo di usare cellulari e connessioni al web, controllo di ogni suo movimento, inclusi i pochi incontri autorizzati con amici ed avvocati, al punto da non poter neppure organizzare la sua difesa dinanzi alle autorità inglesi per non essere estradato prima in Svezia e poi negli Stati Uniti. Trasferito dopo l’arresto nel penitenziario di Belmarsh, vi è detenuto in cella di minime dimensioni, con restrizioni e controlli ancora più accentuati, al punto che medici specializzati hanno rilevato, anche in ambulatorio, sintomi tipici della esposizione prolungata alla tortura psicologica con rischio di suicidio o comunque di morte”.

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