Nicolò cammina con passo incerto ma cammina. Sognava di fare il pilota prima di quella notte. Era una notte di primavera, tra il 3 e il 4 maggio di un anno fa, quando il padre, Alessandro Maja, stimato professionista esperto in design d’interni, ha preso a martellate la madre Stefania Pivetta e la sorella Giulia e poi ha cercato di finire anche lui ma non c’è riuscito.
Sognava di volare ma oggi, il giorno della sentenza del processo al padre a Busto Arsizio, è felice di camminare perché per la prima volta entra in quest’aula con le sue gambe, senza la sedia a rotelle. La fisioterapista che lo segue a un certo punto gli ha detto: “Ora basta, puoi camminare. Non hai più scuse”. Cammina dentro e fuori dall’aula, nell’attesa. Non è mai solo. Accanto ci sono i nonni, coi quali vive da quando è uscito dall’ospedale, le amiche della mamma che gli accarezzano la testa, lo zio Mirko.
Nicolò ha la maglia che ha indossato altre volte: una t-shirt con le foto stampate della mamma e della sorella. Ha 24 anni e sa già che “non potrò perdonare mio padre perché quello che ha fatto mi accompagnerà tutta la vita”. Però vuole capire. E col padre, in carcere a Monza, si scrive delle lettere da un po’. “Un mese fa gli ho chiesto le motivazioni del suo gesto e se per lui la nostra vita valesse qualcosa o nulla. Mi ha risposto che i miei ragionamenti non fanno una piega. In sostanza mi ha dato ragione ma non ha articolato una risposta, come mi aspettavo. E, probabilmente, una risposta nemmeno c’è”.