HomeAperturaIl calcio uccide? La vera risposta di Vialli (VIDEO)

Il calcio uccide? La vera risposta di Vialli (VIDEO)

Le morti di Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli lasciano un vuoto nel calcio italiano ma anche il retro-pensiero che le morti in età così prematura di ex calciatori possano essere in qualche modo riconducibili ad un mondo, quello del pallone, che spreme i suoi atleti e li manda in campo ogni tre giorni, li fa diventare delle “macchine per lo spettacolo e forse utilizza troppi farmaci. Sul tema si è espresso anche il presidente della Lazio, Claudio Lotito, che qualche settimana fa dichiarò: «Bisogna approfondire alcune malattie che potrebbero essere legate al tipo di stress e di cure che venivano fatte all’epoca ai calciatori, ai trattamenti che venivano fatti sui campi sportivi».

Nel caso di Vialli l’incidenza del tumore al pancreas tra i calciatori è un problema sollevato nel 2005 da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, che aveva rilevato già all’epoca il doppio dei casi di morte tra i calciatori a causa di questa tipologia.

Fa una certa impressione rivedere adesso che Vialli è scomparso il filmato della sua deposizione al processo a Torino sul caso doping Juventus in seguito alle dichiarazioni di Zdenek Zeman. Dopo la prima udienza nella quale respinse ogni accusa di doping, il campione della Juventus aveva concesso un’intervista a Radio Radio, nella quale ribaltava le sue stesse affermazioni fatte in tribunale, ammettendo che nel calcio venivano presi troppi farmaci e che vi era un doping “consapevole” e “non consapevole”.

Vialli era tornato allora a testimoniare in tribunale, il giudice gli chiese di chiarire quella sua affermazione del doping “consapevole” e “non consapevole” e ne vennero fuori 10 minuti di scontro con il calciatore che era in difficoltà e il magistrato che lo incalzava.

“Si è scoperto che forse si faceva uso di troppi medicinali, fu la considerazione sollevata dal pm. “Forse io da professionista che stava male quando non poteva andare a fare partita o saltava un allenamento, forse avrei dovuto dire che ho un problema e vado una settimana in montagna, anziché chiedere un Voltaren per giocare“, rispose Vialli.

Ma i silenzi di Vialli colpiscono e fa rumore l’evidente disagio ed imbarazzo di un atleta, un fuoriclasse che dava l’idea di essere prigioniero del sistema esattamente come i suoi colleghi. La questione non riguardava soltanto la Juve, che fu l’unica ad essere processata per un calcio farmacia che in realtà ha riguardato – ieri e oggi – tanti altri club. Vialli avrebbe voluto dire e urlare che qualcosa, insomma, accadeva eccome e stava per farlo, lo aveva lasciato intendere nella sua intervista ma poi era tornato sui suoi passi perché aveva la consapevolezza che per spezzare un sistema non basta una sola voce. Forse non fu casuale la decisione di andarsene in Inghilterra, lontano dall’Italia che ti usa, ti spreme e ti butta via. E’ l’altra faccia di quel calcio che da tanti anni a questa parte ha anteposto e probabilmente ancora oggi mette davanti a tutti, nello stesso identico modo, la logica del business a qualsiasi altro aspetto. L’obbligo di fare spettacolo a tutti i costi viene prima anche della tutela del diritto alla salute degli atleti.

Su questa vicenda si è registrato un’interessante approfondimento del quotidiano “L’Avvenire”, che da tempo cerca di indagare giornalisticamente la problematica del rapporto tra calcio e farmacie.

“Dopo il dolore per la morte prematura di Gianluca Vialli – scrive L’Avvenire -, ora è il momento della rabbia. Sì, la rabbia e il dubbio, che, nel Paese dei sospetti, si insinua fin dentro l’area di rigore dei tanti misteri irrisolti. Dagli anni ’60 al 6 gennaio 2023, centinaia sono state le morti misteriose dei calciatori italiani. E Avvenire negli ultimi vent’anni quel velo di mistero ha provato a squarciarlo aprendo due filoni paralleli d’inchiesta giornalistica: quello delle “Morti bianche del calcio” (centinaia) e poi del “ Morbo del Pallone” (le circa 60 vittime della Sla-Sclerosi laterale amiotrofica). Ripartiamo da «fuori il calcio dalle farmacie» Tutto è cominciato dalla frase sibillina di Zdenek Zeman, allora tecnico della Roma che durante il ritiro precampionato dei giallorossi, stagione 1998-‘99, pronunciò quello che è diventato il j’accuse contro questo sistema pernicioso: «È ora che il calcio esca dalle farmacie». Un monito da rileggere con attenzione, specie in questi giorni di lutto stretto per il calcio italiano per la perdita di due campioni cinquantenni, Sinisa Mihajlovic (leucemia) e Gianluca Vialli (tumore al pancreas) che ha prepotentemente riaperto negli spogliatoi l’armadietto dei sospetti. Sulla scia emotiva degli ultimi scampoli di resistenza al cancro opposta da Vialli, il primo a forzare lo scrigno segreto dell’omertoso mondo del pallone italico è stato il presidente della Lazio Claudio Lotito che, a sorpresa, ed esente da ogni comizio elettorale, ha proclamato senatoriale: « Bisogna approfondire alcune malattie che potrebbero essere legate al tipo di stress e di cure che venivano fatte all’epoca ai calciatori, ai trattamenti che venivano fatti sui campi sportivi». Nel Paese dalla memoria corta, giova ricordare che quel tipo di indagine a tappeto, su ma-lattie, morti sospette, abuso di farmaci, sostanze dopanti e affini, venne eseguita agli inizi del millennio dall’ex giudice della Procura di Torino Raffaele Guariniello. il quale ebbe l’onore e l’onere di istruire il primo processo penale per doping nella storia del calcio, quello alla Juventus in cui aveva militato anche Gialuca Vialli. Da quel processo, terminato nel 2007 in Cassazione con la sentenza che per l’uso spropositato di farmaci c’era stata «frode sportiva», il dato più inquietante che rimbalza come un pallone sul terreno dell’attualità è l’indagine epidemiologica”.

“Il giudice Guariniello – continua L’Avvenire – contestualmente al processo per doping, affidò all’Istituto Superiore di Sanità di Roma la ricerca che venne effettuata su un campione di 24mila calciatori di Serie A, B e C (rintracciati mediante lo strumento fanciullesco dell’album delle figurine Panini) in attività tra il 1960 e il 1996. «Sto rileggendo proprio in queste ore quello studio, primo e unico, che pubblicammo nel 2005 e confesso che avverto un certo disagio, anche perchè credo sia tempo di aggiornarlo – dice il dott. Vanacore – Nella nostra ricerca che si chiuse con il riscontro di 350 calciatori morti per diverse patologie, il dato epidemiologico più significativo che emerse già allora fu che dei 4,99 casi attesi di calciatori morti di tumore al pancreas ne trovammo 9. Il doppio, e lo stesso, ma con una percentuale non giudicabile come “significativa” quanto quella del pancreas, valeva per i casi di carcinoma al fegato, 4.8 attesi e 9 trovati e la leucemia, casi attesi 5,08, trovati 9”.

“In quello studio dell’ISS di Roma inoltre per la prima volta si denunciava anche l’incidenza della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) o “Morbo del pallone”, visto il dato epidemiologico allarmante tra i calciatori. Un male oscuro e quanto mai misterioso la Sla, per il quale Gianluca Vialli con Massimo Mauro aveva creato la Fondazione che reca i loro nomi al fine di finanziare la ricerca scientifica. Tasto dolente per il quale si batte da sempre il dott. Vanacore.« Nel 2005 l’incidenza delle morti di Sla nel calcio era 12 volte superiore, ma quel dato è stato aggiornato nel 2019 dal gruppo di ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano che arrivando fino al 2018 con un follow-up allargato rispetto al nostro studio ha riscontrato 32 casi di morte per Sla nella popolazione calcistica ed un rischio doppio rispetto alla popolazione generale. Ma ora – conclude il dott. Vanacore – occorre un contributo importante da parepidemiologica te delle istituzioni scientifiche, delle società calcistiche e della società civile tutta, perché venga finanziata una ricerca ad ampio spettro che consenta prima di aggiornare il dato epidemiologico per tutte le cause di morte e successivamente capire le cause del fenomeno”.

“Il “caso madre” – conclude L’Avvenire – rimane Bruno Beatrice, la morte del centrocampista della Fiorentina metà anni ‘70. Il mediano viola è stato “ucciso” da una serie killer di Raggi Roentgen per curare una pubalgia. Da perizia medico scientifica la Roetngen terapia causò la leucemia linfoblastica acuta che nel 1987, a 39 anni, portò Beatrice alla morte. L’inchiesta condotta dai Nas e dal pm di Firenze Bocciolini, appurò che in quella Fiorentina degli anni ’70 si fece «sperimentazione medica». Da qui, le possibili conseguenze letali per le morti premature degli ex viola e compagni di Beatrice: Nello Saltutti, Giuseppe Longoni, Ugo Ferrante, Massimo Mattolini, Giancarlo Galdiolo (oltre ai casi di Giancarlo Antognoni, infarto a 51 anni e Domenico Caso, tumore al fegato da cui è guarito). Bruno Beatrice è morto il 16 dicembre, come Mihajlovic, oltre alla leucemia forse una seconda coincidenza su cui fare luce una volta per tutte.

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