HomeAttualità e CronacaA Taormina c'è il Festival del Cinema ma chi se n'è accorto?

A Taormina c’è il Festival del Cinema ma chi se n’è accorto?

TAORMINA – A Taormina è iniziato ieri il Festival del Cinema, che da quest’anno è tornato ad una gestione in house, passando cioè dalla stagione dei general contractor privati all’organizzazione “fai da te”, direttamente a cura di Taormina Arte. E l’evento serale di apertura della 69ma edizione era anche abbastanza interessante, un gala dedicato a Luciano Pavarotti, con apprezzabili sinergie come la collaborazione come quella con la Fondazione Pavarotti di Nicoletta Mantovani.

Tra gli ospiti, anche Placido Domingo, Marcelo Álvarez, Vittorio Grigolo, Aida Garifullina, Mario Biondi, Andrea Griminelli e una nuova generazione di giovani artisti, promossi e sostenuti dalla Fondazione Pavarotti. A dirigere la Taormina Art Festival Orchestra il maestro Beatrice Venezi, la brava direttrice artistica della Fondazione.

Insomma, la volontà di cercare di fare cose buone non manca e l’impegno va apprezzato, se non fosse che si ha l’idea di un Festival “casereccio”, del quale persino la città stessa fa fatica ad accorgersi che c’è. Magari vedremo qualche articolo di giornale e qualche servizio in tv, e conosciamo discretamente bene come funziona la giostra dei media in Italia, ma siamo distanti qualche anno luce dalla prospettiva di una svolta. Quando si fa un grande evento a Taormina, tanto più con questa storia alle spalle, bisogna avere la capacità di alzare l’asticella e il livello bisogna migliorarlo in tutti gli aspetti. Tutti e nessuno escluso. A partire dall’impatto del festival che ad oggi e’ impalpabile sul turismo e l’economia della città e fa gioire solo il contorno di un paio di fricchettoni che da Palermo, Messina e Catania vengono qui ogni anno a trascorrere una settimana a spese dei contribuenti.

Il Taormina Film Fest è diventato da tempo un evento che va in scena per onore di firma, che ha perso smalto ed è un’entità distante dalla città, soprattutto non ha l’appeal all’esterno che le potenzialità consentirebbero. E’ cambiato il mondo, va detto e non sono tempi semplici per nessuno, ma gli altri, dopo la pandemia, hanno ripreso a correre e vanno al doppia della velocità.

Ha poco senso l’esercizio dell’arroccarsi a fare amarcord, è inutile abbaiare alla luna ma i paragoni rischiano di scavare un solco abissale. Taormina meriterebbe un grande progetto che ad oggi non si vede. Il festival confida in qualche avuto e in una serata di maggiore attrattività ma, nel complesso, si trascina stancamente, senza ritrovare un’anima e un’identità.

Al TaoFilmFest si sono viste, d’altronde, cose che appartengono ormai ad una storia distante da una grande storia. Anni fa, ad esempio, qualcuno ha scambiato per attori Marcello Lippi e Marco Tardelli e li ha chiamati a dare lezioni di cinema, come se la rassegna fosse un party vip sulle vecchie glorie del pallone. Poi, tra tanti politici mediocri, c’è stato il capolavoro di uno dei vari fenomeni dei palazzi siculo-romani che è arrivato tronfio a Taormina, si è preso la scena e con un colpo di ciuffo ha annunciato l’impegno del governo siciliano per consentire la presenza qui di stelle internazionali del cinema. Bene, bravo, salvo poi, 5 minuti dopo, andare dall’organizzatore della rassegna a sussurrargli in un orecchio: “A proposito, vedi che quegli ospiti non abbiamo la copertura per portarli al festival” (con il malcapitato che si è poi dovuto far carico di tasca propria dei costi di aereo e soggiorno per non venir meno all’attesa mediatica di quegli annunci).

Adesso la volenterosa Beatrice Venezi sta dando un’impronta di sobrietà alla manifestazione. La Venezi ha talento, nel suo campo, con la bacchetta si è dimostrata con merito un’artista di livello internazionale. E’ uno dei volti italiani emergenti e su questo non ci piove: ma il cinema è un’altra cosa e Taormina per molti versi idem. Perché Taormina, al netto dei curriculum da poter esibire e al di là della vetrina di prestigio che questo territorio sa regalare, è una piazza esigente. E’ uno di quei luoghi che o lo comprendi bene e lo vivi in simbiosi, oppure non scatta il sentiment e sarà inesorabile nel chiudersi a riccio e non amarti.

In questa 69esima edizione del festival c’è un condirettore Barret Wissman che – così si legge sulla Rete – è un appassionato imprenditore, filantropo e pianista da concerto e negli ultimi 20 anni è stato presidente di Img Artists, leader nel settore dell’intrattenimento artistico e culturale. Non lo conosciamo, sarà in gamba se è stato scelto (dalla Venezi) per il TaoFilm Fest. Eppure, per dirla in gergo calcistico, ci sembra un pò come un buon tecnico straniero catapultato a guidare la Juventus 10 giorni prima dell’avvio del campionato di Serie A. Magari poi sarà possibile arrivare nelle zone alte della A, ma la lotta per conquistare la Champions League si rischia di vederla con il binocolo. E Taormina da parecchio tempo a questa parte, nonostante l’ingaggio di ottimi professionisti, è scesa un pò dalla Champions League dei festival all’Europa League delle rassegne cinematografiche.

La Regione Siciliana assolve al suo compito con un bel finanziamento e qualche ospitata, i privati stessi sono stati mandati allo sbaraglio e alla fine hanno investito risorse in un contesto senza una visione strategica e una progettualità in grado di supportarli. La politica, che di cinema non capisce un fico secco, si fa bastare l’orgasmo della passerella a Taormina, un bel cocktail in albergo, il brivido dell’abito da sera e il godimento effimero di un posto in platea con qualche selfie al Teatro Antico.

E poi c’è Taormina Arte, ovviamente, che ha avuto l’idea di tornare a gestire in house il festival. Una scelta giusta, condivisibile nello spirito, che sarebbe da applausi se non fosse che il coraggio del pensiero senza la capacità di tradurre i buoni intenti in realtà è come chiedere ai sette nani di sollevare il mondo. TaoArte è sospesa nel limbo di un’atmosfera surreale, con una Fondazione nell’occhio del ciclone, senza più il Comune di Taormina e una guerra aperta in atto tra il sindaco Cateno De Luca e la Regione Siciliana. Senza più uno dei due soci, il commissariamento sarebbe già dovuto avvenire non domani ma ieri, c’è l’attesa o la speranza che De Luca si rabbonisca e faccia marcia indietro per un posto in più nel CdA. La sovrintendente Ester Bonafede predica “amore” nel deserto e persegue la narrazione romantica di un positivismo che stride con le difficoltà e le carenze oggettive. “Questa bella atmosfera è in linea con quanto stiamo proponendo”, parole che fanno venire un friccico ner core, in simbiosi con lo spirito camaleontico di quella Taormina che in fondo è un grande teatro a cielo aperto, dove ci sono quei 3 mesi di spettacoli al Teatro Antico ma la città e’ un palcoscenico permanente del tutto e il contrario di tutto, che va in scena per 12 mesi l’anno.

E allora il Festival di Taormina è iniziato, speriamo tutti vada bene (anche se le perplessità sono parecchie) perché bisogna sempre augurarsi il meglio quando si parla di Taormina e di tutto ciò che la riguarda. Non vorremmo, tuttavia, che questa 69esima edizione (targata Palermo-Roma) della rassegna si sia avviata a diventare, ancora una volta, una rappresentazione autocelebrativa per soli addetti ai lavori. Domenica arriva Harrison Ford, il mitico attore statunitense e magari darà una botta di vita al festival. “Indiana Jones e l’ultima crociata”, “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”: vuoi vedere che dopo le dirette del sindaco De Luca sulle vicende del Teatro Antico e TaoArte, gli americani decideranno di girare da queste parti nuovi capitoli della saga?

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