Emmanuel Macron è ormai, agli occhi della comunità internazionale, il presidente che sognava di consacrarsi nel ruolo del grandeur ed invece è diventato un collezionista di disastri. Ma stavolta lo scivolone è di quelli pesanti e c’è poco da scherzare. Mentre affonda, miseramente, il piano “Clementoni” di Donald Trump sull’Ucraina, con il presidente americano che pensava di aver domato con un paio di convenevoli istituzionali la “tigre” di Mosca, ecco che irrompe sulla scena ancora una volta il presidente della Francia che non perde occasione per tentare di fare la parte del capintesta dell’Europa. Macron che fa? Non aiuta a delineare un percorso di pace, mette altra benzina in una vicenda che di tutto ha bisogno tranne che di essere inasprita. Macron dice, anzi ribadisce, che bisognerebbe “inviare truppe europee in Ucraina”. Un modo come un altro per allontanarsi a distanze siderali dalla pace che tutti vogliamo, una follia ideale per avvicinarsi forse al pericolo devastante di una Terza Guerra Mondiale.
Macron prepara o perlomeno sogna la sua trincea, come se l’Europa fosse un suo esercito personale, senza accorgersi che non è il comandante il capo, non è lui il leader dell’Europa ed è una figura politica in caduta libera sul piano interno, in termini di consenso poco più che tollerato nel suo Paese, come dimostrano le recenti consultazioni elettorali. Il “galletto” transalpino si arma di sprezzante coraggio ma, in sostanza, declama un “armiamoci e partite” che sembra un tragicomico tentativo di sfidare lo Zar. La spara più grossa dei cannoni e non si rende conto che l’invio di truppe europee in Ucraina non sortirebbe l’effetto di “ammorbidire” Vladimir Putin. Semmai avverrebbe esattamente l’opposto, si andrebbe ad aggravare in termini esponenziali il conflitto sul campo, con il rischio di espanderne il terreno e portarlo non più ai confini dell’Europa ma dentro, nel cuore dei nostri Stati. Non occorre essere esperti di geopolitica o tattici di guerra per comprendere certe dinamiche, scolastiche e acclarate dalla storia e dagli eventi. Urge una svolta di pacificazione, non un escalation militare. Ma questo Macron non lo comprende e non si accorge che a volte anche le parole possono scatenare una guerra. Tanto più se a dire certe cose è un Capo di Stato, il presidente della Francia, non un Paese qualsiasi ma uno dei più rappresentativi del Vecchio Continente.
Ad inasprire il clima si è messo Matteo Salvini che ha risposto a Macron: “Soldati europei in Ucraina? Attaccati al tram. Vacci tu a combattere”. Oltre lo stile colorito, al di là delle supercazzole all’italiana di chi attaccherà sempre Salvini anche solo se respira, non si può dar torto alla posizione del ministro italiano. Poi che possa o non debba spettare a lui esprimere certi giudizi, è un altro paio di maniche. I formalismi istituzionali mettono Salvini al centro dell’ennesima polemica all’italiana. Tuttavia è condivisibile il pensiero che l’Italia non debba aderire a questa proposta scriteriata della Francia. Lascia il tempo che trova l’iniziativa dell’Eliseo, dove politici come Macron mortificano la valenza strategica e l’autorevolezza che potrebbe realmente avere un Paese meraviglioso che dovrebbe camminare insieme agli altri e che invece si perde poi nell’eccessiva smania di voler primeggiare. Da qui un nuovo sussulto di vittimismo diplomatico e la convocazione dell’ambasciatore d’Italia per chiarimenti. Una sceneggiata non nuova, di cui non si avvertiva il bisogno e che il governo italiano dovrebbe rimandare al mittente.
Macron “gioca” al generale e per fortuna, almeno sin qui, l’Europa non lo segue. Vuole la pace ma non perde di vista la visione coloniale che dalle sue parti è un’abitudine. Meglio lasciar perdere l’inadeguatezza di un presidente in cerca di guerra a spese degli altri, che insegue una ribalta e forse pensa che a fine guerra ci sarà da spartirsi le terre rare dell’Ucraina (prima di lui c’è già in fila Trump). Di certo Macron sogna il suo rilancio politico e di immagine dopo aver perso credibilità nella cosiddetta “Françafrique”, con la presenza militare della Francia che da quelle parti ormai viene via via sfrattata. L’inquilino dell’Eliseo, prima di tracciare la rotta per Kiev, farebbe meglio a riflettere e trarre spunto da quello che ha combinato la Francia, sotto questo mandato presidenziale, proprio sul piano della presenza militare e della pesante influenza storicamente avuta dai francesi nell’Africa centro-occidentale e nel Sahel.
Nella cosiddetta “Françafrique” che aveva resistito alla decolonizzazione degli Anni ’60 e alla Guerra Fredda, quell’influenza non è sopravvissuta alla presunzione di Macron, che ha trattato con supponenza molti leader africani ed è stato ricambiato di conseguenza. I regnanti locali gli hanno ricordato che questo è il tempo della libertà, non dei sudditi da sfruttare. Senza dimenticare, ovviamente, la scellerata campagna di Libia del 2011 allora fortemente voluta dalla Francia (all’epoca il presidente era Nicolas Sarkozy), insieme a Usa e Gran Bretagna, che ha destabilizzato l’intera regione del Sahel, con un assalto che ha avuto effetti di cui paga oggi le conseguenze l’Europa e l’Italia assai più della Francia.
E allora l’Ucraina va liberata, al più presto, dall’invasione russa, si avverte l’ineludibile necessità di pervenire ad una soluzione risolutiva che metta fine all’orrore della guerra ma non attraverso l’apertura di una guerra nella guerra e neanche passando dall’utopia di chi si illude che Putin si ritirerà senza pretendere nulla in cambio. Sono i Capi di Stato e la diplomazia che devono svegliarsi, tirare fuori gli attributi (istituzionali) se li hanno e andare oltre le parole di solidarietà all’Ucraina. Il tempo scorre e ogni giorni muoiono civili, persone innocenti e bambini in primis. Putin va affrontato de visu, una volta per tutte, incontrandolo e guardandolo in faccia. Le chiacchiere a distanza stanno a zero e così pure la minaccia della prova muscolare con le armi, che ha sempre generato una risposta similare. Altro sangue? No, grazie.