A poche ore da Milan-Juventus, ennesimo atto della super-sfida, arriva una doccia fredda per i tifosi rossoneri da un grande ex.
George Weah, protagonista di due scudetti vinti con il Milan, 58 volte in gol in 147 partite tra il 1995 e il 2000 ed anche vincitore di un Pallone d’Oro nel 1995 mentre vestiva la maglia del Diavolo, “gela” il popolo milanista con la sua intervista al quotidiano La Repubblica. Una dichiarazione in particolare dell’ex presidente della Liberia, fuoriclasse in campo con le maglie di Psg, Milan e Chelsea, va ben oltre il sostegno affettivo al figlio Timothy, attuale calciatore della Juve.
“Tiferò Juventus – ha detto Weah a La Repubblica – perché è la mia squadra del cuore e perché ci gioca mio figlio. Vorrei che fosse una bella partita. Se vince la Juventus sono contento, se vince il Milan non lo sono al cento per cento, ma un po’ sì. Mio figlio ha realizzato il sogno che avevo da bambino? Si può dire così”.
La sua passione per la Juventus nasce negli anni bianconeri di Michel Platini. “Ero uno juventino incallito. Erano gli anni in cui Platini giocava nella Juve e tanti bambini africani stravedevano per lui, me compreso. Adoravo come tirava le punizioni, i rigori e noi piccoli che giocavamo per strada cercavamo di imitare il suo modo di calciare. Ma quando partiva dal suo piede la palla girava, noi invece non ci riuscivamo mai. Platini è stato un modello, una leggenda e io non ho mai smesso di essere juventino”.
“Al Milan ho vissuto cinque anni fantastici. Da avversario lo guardavo, lo ammiravo, ricordo bene quella finale di Champions persa con l’Ajax. c’era ancora Van Basten, che poi mi fece l’onore di lasciarmi la sua maglia numero 9. Tutti volevano giocare in Italia e fui io a scegliere, anche se sarei potuto andare altrove. Sognavo la Juve, ma non avrei potuto dire no al Milan. Sono ancora in contatto con i vecchi compagni: ho chiamato Sebastiano Rossi, mi sento spesso con Boban e Maldini, a cui devo tantissimo, e Marco Simone, mio grande amico”.
“Quando giocavo nel Monaco la Juventus si era interessata a me, ma ero ancora molto giovane e Wenger mi consigliò di restare in Francia ancora un po’ perché avevo bisogno di maturare. La Serie A, all’epoca, era forse il campionato più difficile al mondo. E così andai al Psg”.