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Quattro anni fa la morte di Giovanni Coco, un taorminese tradito dal sistema

Ricorre oggi il quarto anniversario dalla tragica morte di Giovanni Coco. L’8 agosto 2020 è la data in cui venne trovato nel mare di Giardini Naxos il corpo del dirigente del Comune di Taormina, che la sera precedente decise di togliersi la vita. La morte di Giovanni Coco è ormai nota a tutti, eppure è una triste pagina da ricordare, da raccontare anche ai più giovani di questo territorio. C’è un uomo che si è suicidato, c’è anche un professionista che è stato condannato e ha già scontato la sua pena nei confronti della giustizia ma il perimetro di tutta questa brutta vicenda va oltre. Al netto delle verità giudiziarie è una storia che sul piano morale non può essere circoscritta alla condotta di una o due persone.

L’amara fine di Giovanni Coco sintetizza cosa è stata Taormina negli ultimi 30 anni, uno spaccato eloquente della miseria umana, dell’ipocrisia che spesso regna nei rapporti tra le persone e inquina le dinamiche sociali. Una fitta rete dove quasi tutti si stringono le mani, si abbracciano e si frequentano, per poi pugnalarsi. Si sorridono e poi di fronte alle logiche della convenienza, si scannano. Un mondo dove in tanti si usano a vicenda, poi si tradiscono. Qualcosa si rompe e c’è chi si salva e chi no, chi riemerge e chi affonda per sempre.

Taormina, bellissima città decantata in tutto il mondo per tanto tempo è anche un luogo rimasto ostaggio della sua paesanità, malgovernata da un’intera generazione di persone rispettabili e sicuramente abili nella loro professione ma rivelatesi un fallimento nell’amministrazione di Taormina. Il peggiore disastro è stato tuttavia un altro: proprio sul piano umano.

Giovanni Coco era il dirigente onnipresente che per un lungo tempo ha gestito le maggiori responsabilità dirigenziali al Comune di Taormina. Dalla raccolta rifiuti alla protezione civile, dalla cultura al turismo, dal servizio idrico a quelli cimiteriali, dalla polizia municipale al verde pubblico e l’arredo urbano. Di tutto e di più, alla sua porta bussavano tutti e chiedevano la qualunque. Lui li assecondava con il sorriso sornione sotto i baffi e con il suo fare da buonaccione, talvolta anche un pò istrionico. Poi, quando sono arrivate le prime vicende giudiziarie, gli amici si sono dileguati. Sono scappati, l’hanno emessa loro la sentenza di condanna a morte. Il “fedelissimo” che faceva comodo a chiunque è diventato una scomoda mela marcia, il “caro Giovannino” ha assunto le sembianze di un appestato dal quale stare distinti e distanti. Giovanni non era un santo e non avrà mai beatificazione, né qui né lassù, ha commesso degli errori e su questo non ci piove, ma non era un ladro, semmai un uomo buono che si metteva a disposizione degli altri e si è spinto con troppa faciloneria oltre la linea rossa della vita, fidandosi troppo di chi lo ha portato a sbagliare. Fatale gli è stata la superficialità nel pensare che, in fondo, non sarebbe accaduto nulla, illusione dettata anche dalla consapevolezza che a Taormina se ne sono viste tante altre di situazioni molto opache nel tempo ma – chissà perché – in effetti non è mai accaduto nulla e anche quando di rado è arrivata la pioggia, è trascorso poco tempo prima del ritorno immediato di un sole accecante. Il sistema reggerà, pensava Giovanni e lo hanno sempre pensato in tanti a Taormina.

Eppure che a Taormina ci fosse qualcosa che non andava e, soprattutto, dell’esistenza di un buco nella riscossione sulle bollette dell’acqua, il primo ad accorgersene, tra il 2008 e il 2009, fu chi scrive queste righe, che la denuncia l’ha fatta pubblicamente, a mezzo stampa. Mancano al tempo almeno 6 milioni, lo abbiamo detto e scritto. Sarebbe bastato poco per risolvere la vicenda già allora e il paradosso è che di quell’ammanco clamoroso ci informò proprio “l’appestato” Giovanni, come se idealmente volesse lanciare un segnale a un amico per mettere fine a quella spirale. I nomi e i cognomi dei morosi erano tanti, eppure al Comune di Taormina si andava avanti a briglie sciolte. Era un magico mondo di vergini vestali e finti tonti, la coreografia la faceva una pletora di politici ed altri accoliti a contorno, che si beavano del potere per ergersi a protagonisti del teatrino paesano. Attorno a loro un bel pò di ruffiani di corte, attenti a capire dove soffiava il vento. E poi ovviamente c’era un ufficio che era “il male dei mali”.

Già nel 2009 si poteva, insomma, fare chiarezza ma soprattutto si sarebbe evitato che un uomo finisse poi in fondo al mare, travolto da un senso opprimente di vergogna e annichilito da un isolamento insopportabile. E nessun politico potrà venire a dirci che però “io ho cercato di fare questo”, “io invece ho fatto quello”. Forse qualcuno ha cercato di fare qualcosa, di certo nessuno ha fatto abbastanza, nessuno ha avuto il carisma e la determinazione per arrivare fino in fondo. Di fronte alla storia oggi si può solo fare silenzio. Avere il buon senso di tacere e riflettere.

La morale di questa storia è tanto semplice quanto spietata: Coco è l’unico che si è caricato sulla sua tragica sorte il peso insostenibile di una lunga stagione di disastri del Comune di Taormina. Ha pagato lui per tutti. L’arresto e addirittura il divieto di dimora nella sua città, quando era già in pensione e non avrebbe potuto inquinare nulla. “Volevano farlo parlare“, si dirà quando il suo destino si sarà compiuto. L’infelice risultato è che l’ex dirigente del Comune di Taormina si è sentito il mondo crollargli addosso e ha scelto di togliersi la vita. Ha chiuso la porta della stanza, nell’appartamento in cui era costretto ad abitare a Naxos, e si è incamminato verso l’appuntamento con la sua fine. Chissà cosa avrà pensato negli ultimi passi verso l’aldilà, con un rosario stretto tra le mani e i polsi fasciati perché aveva già tentato di togliersi la vita. Irrimediabilmente tramortito dagli accadimenti, come nel nostro incontro pochi giorni prima del suo suicidio in cui ci trovammo davanti a una chiesa e ci raccontò l’amarezza di un uomo emarginato dal sistema che per tanti anni lo aveva usato ed elevato a fulcro di tante vicende. Spremuto e buttato via.

Lo sbaglio più grande di Coco? Forse essersi cacciato nei guai con la sua faciloneria. O magari ha compiuto un altro errore, colossale. Non aver fatto nomi e cognomi di tutti quelli che bussavano alla porta a chiedere “cortesie” e poi, da disinvolti smemorati, con il loro distacco lo hanno accompagnato verso i fondali di Giardini Naxos. Aveva ragione un’illustre persona di Taormina che nei giorni dell’“esilio” di Coco, proprio a pochi passi dal palazzo municipale, ci disse: “Se Giovanni parla sarà una slavina”. Invece ha staccato la spina in silenzio, ha tolto il disturbo e ha scelto di portarsi tutto nella tomba, 24 ore dopo la nascita del suo amato nipotino. Qualcosa però rimane e vivrà per sempre: il ricordo di una brava persona che merita rispetto, travolta nella sua fragilità dalle vicissitudini della vita. Infine l’ineludibile certezza che presto o tardi tutti dovremo fare i conti con Dio. Siamo tutti sulla stessa barca e non si scappa, è solo una questione di tempo.

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