L’attentato a Donald Trump rinfresca la memoria al mondo e fa capire (ove mai ce ne fosse bisogno) dove può portare l’esasperazione della scontro nei rapporti umani, la violenza verbale e l’estremizzazione delle differenze di posizione, in politica come nella vita in generale. E’ un campanello d’allarme per tutti quelli che non hanno compreso cosa può generare l’eco globale dello scontro ad oltranza in un’era in cui la società ha smarrito già da un pò il lume della ragione e ha perso ormai i suoi punti di riferimento e troppo spesso ognuno si sente legittimato ad ergersi a censore dei comportamenti altrui, sino anche ad arrogarsi il diritto di ergersi ad arbitro dei destini umani, assai oltre i confini di ciò che le leggi terrene permettono e al di là di quel che è consentito da Dio ai comuni mortali.
Le immagini di quell’odioso e vile attentato è un monito per tutti e vale anche dall’altra parte del mondo. Compresa la piccola Taormina, epicentro della nostra parabola quotidiana. Nell’immensa America va in scena il duello presidenziale tra quelli che sono con Donald Trump dall’altra parte quelli che lo avversano, lo disprezzano e lo odiano a tal punto da volerlo morto. A Taormina oggi, paradossalmente, se ci pensiamo, seppure con tutte le differenze del caso, c’è una città che si divide tra i sostenitori del suo sindaco Cateno De Luca e quelli che lo detestano. Non è una semplice contrapposizione politica, è la punta dell’iceberg. Ma la riflessione deve andare oltre le sceneggiate del momento, anche perché in fondo da queste parti la politica conta tanto quanto e tutto poi passa, compresi i volti che sono protagonisti effimeri delle stagioni del palazzo.
La violenza, verbale e in ogni sua forma, non porta mai da nessuna parte e non è una soluzione per niente. Vale per la follia di gesti estremi come quello avvenuto in America ma vale anche per qualsiasi altra espressione di conflittualità. Se ci pensiamo anche solo per un attimo, la nostra Taormina, luogo di eterna bellezza infinita, città cosmopolita per la sua storia e per identità, terra votata all’accoglienza, è una città che potrebbe fare e avere molto di più e che tuttavia paga dazio alla mentalità paesana e all’indole astiosa e divisiva che accompagna i rapporti sregolati della sua comunità. Una mentalità fatta di costanti livori ed eterni rancori e invidie per il vicino della porta accanto, dove spesso il godimento maggiore è l’auspicio delle sventure per l’altro prima ancora che gioire del proprio successo. Per questo i fatti del globo ci ricordano quanto possa e debba essere importante scrollarsi di dosso l’attitudine all’individualismo e svincolarsi dai retaggi delle cattiverie, da cui tante volte non siamo esenti. Nel farle o nel subirle.
Se vogliamo vivere meglio questo nostro tempo e fare il bene di una comunità serve un cambio di passo nel modo di essere. Superare la convinzione errata che tutto debba ruotare attorno alla propria convenienza, e che la vita sia una storytelling ad uso e consumo delle proprie paturnie o masturbazioni mentali. A niente serve l’arte del professarsi con o contro qualcuno o qualcosa arroccandosi in un convincimento animato dal fatto personale e corroborato dal pregiudizio. La vera sfida è volgere lo sguardo oltre i soliti livori, togliersi il veleno dall’anima e ricordarsi che, volente o nolente, siamo tutti sulla stessa barca. Siamo attori di una recita che, comunque, andrà avanti anche senza di noi. Tutti di passaggio e nessuno per sempre.
Siamo in un lembo di terra che è sinonimo di bellezza per eccellenza ma bisogna essere all’altezza di quel che ci ha concesso Madre Natura e dell’eredità che ci hanno lasciato i nostri Avi. Si deve cercare di essere degni, sforzandosi di guardare dentro se stessi e cercando le cose buone. Far prevalere la bellezza interiore che (più o meno) tutti possono avere. Elevare se stessi per lasciare un segno nel libro delle nostre vite e nella storia di un territorio. Non odiare ma pacificare, condividere idee e comportamenti per costruire, non ostinarsi a dividersi per distruggere. Frantumare il perimetro paesano della divisività e fare ciascuno la propria parte è un esercizio di buon senso, dal quale non si può scappare, perché il conto poi arriva sempre. Lo si deve anche e soprattutto ai giovani: per non consegnare alle future generazioni l’aridità di altre devastazioni morali e materiali.