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La grande fuga da ScN: De Luca al bivio, la crisi è firmata dai suoi intoccabili

Ismaele La Vardera esce da Sud chiama Nord e con l’addio del parlamentare palermitano la rappresentanza all’Assemblea Regionale del movimento di Cateno De Luca scende sotto la soglia di sopravvivenza del gruppo, con il rischio per quelli rimasti di finire al misto. All’election day del 25-26 settembre 2022 Sud chiama Nord aveva eletto, tra Regionali (8) e Politiche (2) 10 parlamentari, due anni dopo ne sono rimasti come detto 3 all’Ars. Un dimezzamento netto, pesante, che va di pari passo con il crollo di consensi del movimento, passato in Sicilia dal 24% delle Regionali 2022, al 7,6% delle Europee 2024. Una slavina che non può ridursi alla semplicistica narrazione di “tradimenti” in serie e che pone De Luca di fronte a un’ineludibile riflessione su come e perché sia cambiato tutto in due anni.

Il fatto di queste ore è l’addio di La Vardera, un addio che, in verità, era già nell’aria e negli ambienti politici veniva ampiamente pronosticato da mesi, adesso in direzione gruppo misto e forse più avanti verso i 5 Stelle. Il divorzio lo meditava La Vardera, lo sapeva bene anche De Luca ed è stato lui a detonare domenica pomeriggio la rottura. “Tasto stop”, tutto in 48 ore. E qualche altro addio potrebbe ancora compiersi.

De Luca, di suo, prova a dare una sterzata, vira verso il ritorno a destra perché non ha altra scelta, non c’è più spazio per le battaglie fuori dai due poli, corsa solitaria fa rima con avventura velleitaria. La sinistra non vuole consegnarsi “prigioniera” al politico di Fiumedinisi anche se, in ogni caso, è destinata a continuare a perdere nelle prossime tornate elettorali.

Così, il vero tema nel frattempo è un altro. Quelli che se ne sono andati – al di là delle singole vicende – hanno deciso di prendere altre strade per dinamiche di “seggia”, come la definisce De Luca, o piuttosto hanno preso atto che non c’era più modo di dialogare con il leader e sono rimasti, uno dopo l’altro, stretti nella tenaglia del “cerchio magico”. La crisi non è forse il frutto della sostanziale pochezza politica di quelli che sono rimasti al timone di Sud chiama Nord e siedono alla destra del “padre”?

Per intendersi: attorno a De Luca, dentro Sud chiama Nord, non ci sono più figure in grado di far crescere il movimento ma troppi comprimari catapultati nella prima linea sol perché “fedelissimi” della prima ora. E l’arte dell’essere “fedelissimi” di per sé è una cosa bella ma non significa, in automatico, avere una caratura politica. Quella non si compra al supermercato e non si acquista battendo le mani. Fa bene e ha ragione De Luca a lanciare il suo nuovo slogan: “Più soldati, meno generali”. Tuttavia, i soldati elevati a generali sono proprio quelli che in Sud chiama Nord hanno fatto terra bruciata attorno a De Luca, lo hanno isolato preoccupandosi di non lasciare spazi agli altri e hanno svuotato il partito, contribuendo con i loro errori a far fare scelte sbagliate al leader e creando le condizioni per la grande fuga degli ultimi due anni e alla crisi del movimento. Per chi provava o prova a sollevare delle questioni, si è puntualmente materializzata la ghigliottina. E’ un pò la narrazione pretoriana che in questi casi si materializza come le formula più scolastiche: “Capo, ti vogliono tradire”, “parlano male di te”, “cercano poltrone”, etc.

De Luca fa i conti con il momento di difficoltà del suo movimento perché, al netto del suo indubbio decisionismo, ha perimetrato Sud chiama Nord attorno a figure che non sono riuscite a gestire e rappresentare bene i vertici di un partito che era arrivato ad avere il 24% in Sicilia. D’altronde se in un’azienda manca il capoufficio non puoi pensare di sostituirlo con il portinaio, nemmeno se gli metti un bel vestito e la cravatta migliore.

E, c’è chi, sapendo di essere comunque intoccabile per il leader, non ha mai fatto un passo indietro e neanche si è fatto sfiorare dal pensiero. Perché tanto – così si crede -, all’esterno, poi le colpe dei travagli di ScN se le dovrà prendere tutte Cateno De Luca.

E’ il paradosso che stringe la prospettiva di un leader che ha girato la Sicilia e l’Italia da solo, mentre il “cerchio magico” batteva le mani, sguarniva le fila di ScN e lo mandava allo sbaraglio. Anziché invitare il leader a rallentare, rielaborare la strategia politica e compattare il fronte, lo si esortava a spremersi e andare avanti a pieni giri con la crociata solitaria, ad oltranza a spingere il motore dell’uno contro tutti, sino a mettere anche a repentaglio la sua salute, più di una volta.

Soldati elevati a generali non hanno rappresentato un valore aggiunto per il movimento sul piano regionale e neanche nei territori, lo hanno portato ad appiattirsi e poi a sbattere. Hanno dilapidato un capitale di consensi e di rapporti umani. Le Europee hanno dato la prova finale dello stato delle cose. La differenza non la faranno mai quelli che non sono in grado di sedersi e confrontarsi con il leader con la personalità di chi sa dire anche di “No” e possono persuadere il capo a rivedere le sue posizioni. A cosa serve e dove porta il saper dire solo “Sì” senza rendere un capo partecipe e consapevole degli sbagli che appartengono a tutti i comuni mortali. Non è una colpa, sia chiaro ma è un limite oggettivo.

Nessuno ha fatto capire al leader che la lunga serie di addii a ScN bisognava prevenirla e confrontarsi sulle situazioni di malessere, semmai le varie uscite sono state incoraggiate, spesso soffiando sul fuoco delle divergenze. Nessuno ha avuto la capacità di sconsigliare a De Luca l’inutile e velleitaria candidatura alle Suppletive per il Senato a Monza. Nessuno gli ha posto l’opportunità strategica di restare fuori dalle Europee, evitare un flop prevedibile e non disperdere agli occhi dei competitori quel 24% del 2022. Nessuno gli ha detto che inseguire la sinistra era un altro sbaglio colossale. Ma soprattutto nessuno lo ha consigliato o esortato ad essere più presente a Taormina e capitalizzare con la sua indubbia capacità di amministrare il consenso ottenuto lì dove i taorminesi lo hanno eletto sindaco con il 65%. Quel risultato era il trampolino di lancio verso il suo obiettivo palermitano e invece, un anno dopo, quel consenso si è ridotto al 36% delle Europee. Un gradimento plebiscitario evaporato non per un’opposizione che in città è inesistente, ma sull’onda del sentimento che monta di una comunità delusa nel vedere il sindaco troppo assorto in altre sfide.

E allora De Luca ha scelto la rotta a destra per traghettare Sud chiama Nord fuori dall’isolamento politico e fa un ragionamento corretto. Ma prima ancora di costruire le future alleanze, Cateno De Luca dovrà trovare il coraggio di rifondare il suo movimento, tornare intanto a fare il sindaco di Taormina e vedere tutto quello che sinora si è ostinato a non voler vedere nella gestione di Sud chiama Nord: uscire dall’isolamento in cui si è fatto portare dalla prima linea del suo movimento. Faccia piazza pulita, ricordando a se stesso che in politica non esistono intoccabili. Nemmeno in Sud chiama Nord.

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