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Il rapporto Agenas sugli ospedali: dove sarebbe oggi Taormina senza i giochi di potere della politica?

Il sistema di assistenza ospedaliera italiano fa registrare progressi complessivi, eppure persistono numerose sfide critiche da affrontare. La principale di queste rimane il persistente divario Nord-Sud, con le regioni meridionali che, nella maggior parte dei parametri, faticano a tenere il passo. Questo è il quadro sfaccettato che emerge dall’edizione 2025 del Programma Nazionale Esiti (PNE), il rapporto annuale dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas).

Il rapporto, presentato al Ministero della Salute, evidenzia una geografia dell’assistenza sanitaria caratterizzata da disparità regionali. Sebbene 15 ospedali si collochino ai vertici della classifica nazionale, le eccellenze sono prevalentemente concentrate nel Settentrione, con una singola, notevole eccezione nel Mezzogiorno. Complessivamente, tuttavia, circa due strutture ospedaliere su dieci non raggiungono gli standard qualitativi richiesti, risultando “rimandate” per le prestazioni offerte. La situazione più complessa si osserva in Campania, dove ben 51 strutture si posizionano al di sotto dei parametri di valutazione.

Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato che l’obiettivo del PNE non è creare semplici classifiche, ma fornire uno strumento di monitoraggio essenziale per analizzare lo stato attuale della sanità e pianificare gli sviluppi futuri del servizio sanitario nazionale.

Metodologia e Dati Principali

L’analisi di Agenas ha esaminato un totale di 1.117 strutture di ricovero, sia pubbliche che private, basandosi su 218 indicatori specifici distribuiti in otto aree cliniche principali:

  • Cardiocircolatorio
  • Nervoso
  • Respiratorio
  • Chirurgia generale
  • Chirurgia oncologica
  • Gravidanza e parto
  • Osteomuscolare
  • Nefrologia

Le eccellenze e le criticità regionali

I 15 ospedali identificati come “al top” sono quelli che hanno ottenuto un livello di performance ‘alto’ o ‘molto alto’ in almeno sei delle otto aree cliniche considerate nel corso del 2024.

Solo due strutture hanno raggiunto il massimo punteggio, ottenendo una valutazione eccellente in tutte le otto aree: l’Ospedale di Savigliano in Piemonte e l’Ospedale di Mestre in Veneto. Le strutture con i più alti standard qualitativi sono concentrate primariamente in Lombardia (5 ospedali), Veneto (3) ed Emilia-Romagna (2). L’unica rappresentante del Sud Italia in questa élite è l’Azienda ospedaliera Federico II di Napoli, che ha conseguito un livello alto/molto alto con una valutazione positiva in sette aree su otto.

Strutture “rimandate” e miglioramenti generali

Come accennato, quasi il 20% degli ospedali italiani presenta criticità nell’assistenza. Sono state individuate 197 strutture che richiederanno un processo di revisione tramite audit, un numero in diminuzione rispetto alle 239 dell’anno precedente. Le strutture con maggiori difficoltà si trovano prevalentemente in Campania (51) e Sicilia (43), mentre regioni come la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Trento e l’Umbria non registrano strutture sotto gli standard minimi. Parallelamente, le strutture che raggiungono livelli di valutazione alti o molto alti in tutte le aree considerate rappresentano poco più del 10% del totale (189 strutture).

Progressi clinici specifici

Il rapporto evidenzia progressi in diverse aree cliniche:

  • Chirurgia Oncologica: Il trattamento del tumore al seno mostra un netto miglioramento nella centralizzazione dei casi in strutture ad alto volume (dal 72% nel 2015 al 90% nel 2024). Aumenta anche la concentrazione degli interventi per tumori del colon, prostata, polmone e pancreas.
  • Ortopedia e Ostetricia: Migliorano gli esiti per le operazioni al femore negli over 65 (eseguite entro 48 ore) e diminuisce il ricorso ai parti cesarei, sebbene permanga un forte divario territoriale.
  • Cardiologia: La tempestività dell’angioplastica coronarica per infarto entro 90 minuti è salita al 63%, pur rimanendo un punto debole nel Sud. La mortalità a 30 giorni per bypass aortocoronarico è scesa all’1,5%, e per interventi su valvole cardiache al 2%, con criticità in Calabria, Campania e Puglia.

In sintesi, ha commentato il Ministro Schillaci, l’assistenza ospedaliera italiana mostra “progressi significativi su più fronti”, pur non risolvendo le “criticità e il permanente divario Nord-Sud”. Il commissario straordinario di Agenas, Americo Ciocchetti, ha concluso che i dati dimostrano come l’adozione di standard organizzativi e professionali comuni porti a un miglioramento globale dell’intero sistema sanitario.

Il caso Taormina.

In tutto questo ragionamento, al Sud si pone a margine un ragionamento – e lo facciamo noi – su dove si sarebbe potuto trovare oggi l’ospedale San Vincenzo di Taormina, una struttura di grandi potenzialità, con riverberi assai più che zonali, che si è vista sfilare nell’arco degli anni circa 100 posti letto. Un ospedale progressivamente sacrificato dalle dinamiche della politica regionale sull’altare della necessità di non “infastidire” troppo le vicine strutture ospedaliere di Messina e Catania e persino la lontana Palermo. Taormina ha espresso professionalità rilevanti e reparti di eccellenza e ancora adesso, al netto dei tagli subiti, può vantare alcune unità operative che rappresentano un fiore all’occhiello dell’offerta sanitaria in Sicilia, sino anche in un più ampio contesto nel Mezzogiorno. Ma, come detto, il “San Vincenzo” è condannato a non poter crescere in maniera forte e omogenea perché un’avanzata impetuosa della qualità dell’offerta del presidio di contrada Sirina viene concepita come una prospettiva ingombrante per la sanità nelle due città metropolitane tra le quali si trova stretta Taormina, posizionata in un’area baricentrica che è diventata non più soltanto in termini geografici ma anche pratici una vera e propria “terra di mezzo”.

Il caso Ccpm tra eterne proroghe e un destino sospeso.

Eloquente il caso del Centro di Cardiochirurgia Pediatrica del Mediterraneo, che ha sede dal 2010 a Taormina presso il San Vincenzo e che è gestito dall’equipe del Bambino Gesù di Roma. Il Ccpm ormai da 15 anni va avanti con una situazione di incertezza ad oltranza tra proroghe e tentativi di stabilizzarlo che si scontrano con altrettanti tentativi di chiuderlo. Potrebbe e dovrebbe rappresentare il centro hub della Cardiochirurgia pediatrica in Sicilia ma quella posizione è stata prevista nel nuovo piano sanitario della Regione per il Civico di Palermo, relegando invece Taormina ad una sopravvivenza “periferica”, in modalità spoke. Nel frattempo c’è anche la “guerra dei report” che è finita all’attenzione del Ministero e in generale permane il controsenso di una contesa di potere che non rende merito a un reparto che ha salvato tanti bambini e nonostante questo rimane confinato nel limbo di un’eterna attesa e di una interminabile via crucis per le famiglie dei piccoli pazienti del centro.

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