Cateno De Luca apre la sua giornata, come da rituale, con il “sorriso” del buongiorno. Stavolta senza la tazzina del caffè si mette in macchina e va in giro per la Sicilia con il “pretoriano” santateresino Danilo Lo Giudice per esorcizzare le preoccupazioni.
Mentre Taormina viene affidata al co-sindaco delegato Massimo Brocato, il sindaco eletto cerca il bandolo della matassa perché si è ricacciato di nuovo nella via buia dell’isolamento politico. Spinge e scalpita per provare a riorganizzare il suo partito, lavora a nuove adesioni nell’isola e tesse la trama di nuove mosse.
E allora eccolo il mantra mattutino del leader: “Noi stanotte abbiamo girato la Sicilia come ai vecchi tempi! Ci sono movimenti tellurici in atto e non intendiamo farci travolgere dagli eventi perché cerchiamo sempre di non farci dettare i tempi da nessuno. Ora stiamo per compiere la missione conclusiva e ci stiamo spostando nel cuore della nostra amata Sicilia. Questi sono i primi effetti del Governo di Liberazione che sarà presentato ai Siciliani il 18 gennaio a Caltagirone. Ovviamente, per ora, non potremo farvi avere notizie delle missioni speciali in corso di svolgimento”.
De Luca si carica e prova a scuotersi dopo la “follia” politica che ha commesso sabato scorso a Giardini, che rischia di vanificare la sua lunga “campagna” per la presa di Naxos. Il 2026 sarà l’anno delle Amministrative e Giardini Naxos è un bersaglio che De Luca non può fallire. Giardini, sino ad un paio di giorni fa, era ormai virtualmente nelle mani dell’attuale sindaco di Taormina.
La bandiera del Ducato del Nisi era pronta per essere issata in piazza Municipio, lo spumante in ghiaccio. De Luca aveva già in mano le chiavi del palazzo, il resto era una storia paesana di piccole faide irrisolvibili che difficilmente avrebbero visto compattarsi il fronte avversario e l’elezione si era incamminata, insomma, nella direzione di Taormina 2023. Poi c’è stata la “follia” politica di sabato scorso con la quale De Luca potrebbe aver buttato via la sua conquista di Giardini Naxos e che adesso gli ha tolto l’inerzia della contesa. L’attacco duro e senza un minimo di senso alla dottoressa Alessia Barbagallo s’è trasformato in una spada di Damocle sui piani di allargamento del Ducato di Taormina e con possibili riverberi extra-locali. Uno di quei casi perfetti da manuale del boomerang politico. De Luca, forse nella certezza di una vittoria quasi acquisita, s’è affacciato sul terreno scivoloso della spocchia che si traduce in autorete, ha fatto gentile “omaggio” alla Barbagallo dei gradi popolari di figura collante di tutta quell’area trasversale che, da destra a sinistra, si è incazzata e andrà alle urne con la scritta tatuata in fronte del “De Luca, no grazie”. L’eco vicino delle dinamiche del Ducato di Taormina e dei malumori che serpeggiano in una larga parte dei taorminesi fanno il resto.
Se pure Giardini si gira e la luna cambia, De Luca – al netto di entusiasmi, sussurri e trionfalismi mediatici di circostanza – rischia di doversi misurare nel suo tour siciliano con un Everest da scalare tutto a mani nude. Lo scenario è in piena ebollizione ma le combinazioni non sembrano favorevoli.
Il tentativo di scomporre il quadro politico con il suo “esercito di liberazione” sembra un piano d’emergenza più che la soluzione ai problemi. Per il resto, l’accordo che De Luca aveva intavolato con il centrodestra, e che ad un certo punto sembrava ad un passo, s’è allontanato bruscamente. Allo stesso modo la nuova manovra deluchiana di avvicinamento del centrosinistra non va molto meglio, perché sin qui prevale il fronte del “No, grazie” e il campo largo lavora per puntare sul ticket Antoci-La Verdera.
Infine, come si evolverà il rapporto tra Cateno De Luca e Renato Schifani, che sin qui è stato il garante dell’uscita di De Luca dall’isolamento politico del dopo-Europee. Il governatore ora è lui ad uscire indebolito dalle parole di Pier Silvio Berlusconi che chiudono alla prospettiva del bis a Palazzo d’Orleans ma prima ancora è partita la stretta dei partiti del centrodestra che hanno chiesto di alzare un muro sugli emendamenti presentati da Sud chiama Nord per la legge di stabilità. “Rappresaglia” disse l’imperatore Cateno, ai piedi del balcone di Giulietta in via del Campo Largo. L’urlo del prima e forse pure del dopo.


