“Un governo insieme non si può fare, non saremmo credibili”. Giuseppe Conte ha dato così l’estrema unzione al campo largo e di fatto ha posto le premesse per un’altra sconfitta della sinistra alle future elezioni. Il leader dei 5 Stelle polverizza sul nascere la speranza della sinistra di mettere insieme una coalizione anti-centrodestra partendo dalla solita premessa del patto “contro”. I sondaggi (e per esattezza un sondaggio di Antonio Noto) dicono che il centrodestra sarebbe al 49% se si votasse domattina e tutte le forze di sinistra, compresi Renzi e Calenda (o quel che ne rimane) potrebbero arrivare a quello stesso 49%. Togliere i 2 punti e mezzo di Renzi andrebbe a frustrare i sogni di gloria della sinistra ma stavolta l’ex premier ha ragione. I numeri sono diversi a volte dalla realtà e in questo spigoloso gioco delle parti non si può dare torto a Conte quando evidenzia che i 2 punti che porterebbe Renzi alla sinistra farebbero scappare 4-5 punti percentuali di consenso, con tanti elettori di sinistra che non vogliono il rottamatore insieme ai 5 Stelle e con il Pd.
“Non posso violare tutti i principi, cambiare la storia e le ragioni per cui il M5S è entrato in politica. Non sono pazzo. Nessuno del M5S andrebbe a votare se ci alleassimo con Renzi e anche tantissimi elettori del Pd la pensano come me. Mi fermano per strada gli elettori dei 5 Stelle e anche quelli del Pd”. Conte non ha brillato in questi anni e la sua parabola politica l’hanno già bocciata gli italiani nelle urne ma nella contesa con Renzi, il capo politico del M5S ha preso una posizione corretta e coerente. Forse condanna la sinistra al ko, di certo ha scelto di non condannare definitivamente i grillini all’oblio immediato che avrebbe un “abbraccio mortale” con il leader di Italia Viva.
In casa Pd, Schlein, presa dalla frenesia di provare a rimontare nei confronti della destra, si è messa in casa il “nemico”. Sul piano politico Renzi è inaffidabile ma è indubbiamente anche il più furbo, il più scaltro, a differenza degli altri ha una scuola politica che parte da lontano. Il riavvicinamento del Senatore di Scandicci al Pd rischia di far deflagrare i democratici prima ancora di aver messo in subbuglio i 5 Stelle. Schlein forse non lo ricorda ma ha firmato il referendum contro il Jobs-Act, legge voluta da Renzi quando era premier. E allora come si può immaginare un’alleanza tra il Pd che prende le distanze dal Jobs-Act e il “padre” del Jobs-Act stesso? Come si può pensare di mettere insieme non soltanto Conte e Renzi ma prima ancora Renzi e Landini? Ed evidentemente non è l’unico punto che divide Pd e Renzi, che si sono incamminati verso un “matrimonio” senza prospettiva. Un’intesa poco strategica e assai claudicante. Renzi ha in mente una sinistra tutta unita per togliere Meloni da Palazzo Chigi ma Renzi è Renzi e non è difficile immaginare che, se ciò dovesse accadere, all’indomani “cannibalizzerebbe” la sua stessa coalizione, contando più lui con il 2% che gli altri che hanno il 15% o il 20%.
Vedremo come andrà a finire la partita a sinistra e non è detto che alla fine non venga defenestrato di nuovo Renzi e che si verifichi, come logica e numeri vorrebbero, un nuovo riavvicinamento tra Pd e il M5S. Nel frattempo la destra non brilla e ha i suoi problemi, con Pier Silvio Berlusconi ormai pronto a scendere in campo e togliere lo scettro a Giorgia Meloni. Eppure la destra sembra, in ogni caso, destinata a rimanere alla guida del Paese. Renzi attacca Conte e lo definisce “un alleato di Meloni”, il clima si infiamma in un susseguirsi di reciproche accuse, ma ad oggi il migliore alleato per la permanenza della destra a Palazzo Chigi è proprio Matteo Renzi. Nessuno è divisivo come lui, Meloni ringrazia.