TAORMINA – Siamo ormai alla seconda decade di ottobre ma Taormina continua ad essere piena di turisti e a mostrare tanta gente che ha voglia di vedere la città, scoprirne la storia, apprezzarne la magia dei luoghi, le tradizioni, la cultura, l’arte, la cucina e quant’altro. E’ uno spettacolo che si vede e si tocca con mano lungo il Corso Umberto e tra i vicoli del centro, che però poi mostra il nervo scoperto nelle frazioni e lascia spazio al retrogusto complessivo del “si potrebbe fare molto di più“.
E’ il paradosso della Perla dello Ionio, una terra di straordinaria bellezza che sembra, tuttavia, una Ferrari che va al passo una 500: dovrebbe correre veloce ma cammina ad andatura blanda. E’ una città di straordinarie potenzialità ma che – al netto delle recenti vicende riguardanti il biennio della pandemia, che hanno flagellato il mondo intero – da tempo immemore è ancorata al raggiungimento degli obiettivi minimi. E nel frattempo, a proposito di “minimo”, non si fa neanche l’indispensabile per tenere in ordine le frazioni che – repetita iuvant – dovrebbero rappresentare il valore aggiunto di Taormina.
Ci si perde nella piccola logica di quartiere del fatto personale, con il solito chiacchiericcio di cortile, l’eterno giustificazionismo e la tuttologia liquida, senza riuscire a creare le condizioni reali e corali per determinare il salto di qualità. Soprattutto non si trova il modo di fare turismo oltre la data del 30 ottobre e senza addormentarsi poi sino a Pasqua. Come se prolungare la stagione turistica fosse una complicatissima ricerca del Sacro Graal.
Un vero peccato, perché le condizioni per fare bene ci sarebbero tutte e a vantaggio di tutti ma Taormina viene limitata e bullizzata da quelli che la vogliono tenerla inchiodata alla stagione dell’amarcord e alla dimensione del sole, mare, cemento e “prendiamoci tutti in tre 3 mesi”. Taormina accoglie il mondo e lo affascina con la forza della sua storia cosmopolita eppure è ostaggio di una mentalità bigotta, chiusa a riccio dentro una gestione paesana del territorio. E’ un freno alle ambizioni di una località che ha il diritto e dovere di capitalizzare al meglio i segnali importanti, arrivati già quest’anno con il forte rilancio del movimento turistico. La gente è tornata, i numeri sono molto confortanti, c’è da essere ottimisti per il 2023 e molti più visitatori italiani e stranieri potrebbero arrivare da queste parti se soltanto ci fosse la capacità di organizzarsi meglio, migliorare l’accoglienza e mettere mano ai servizi che in troppi casi sono a dir poco inadeguati.
Dio ha baciato il destino di Taormina, gli uomini l’hanno stuprata e sfruttata, o si limitano a farla galleggiare, a volte pure mortificandola tra le fognature che non funzionano. Non valorizzare Taormina come merita è un esercizio di follia che da un ventennio ad oggi si è tradotto in una corsa a marcia indietro. Qui c’è un pezzo di paradiso da esibire al mondo e neanche ce ne rendiamo conto. Nulla cambierà se non ci si sforzerà di uscire dalla dimensione del microcosmo personale in cui ognuno interpreta la realtà a modo proprio. Per cambiare passo e prendere a calci la crisi di un mondo attorno che sa soltanto massacrarci di tasse e ostacoli, bisogna avere l’intelligenza di essere una comunità e scrollarsi di dosso la sindrome della supercazzola paesana. Non riuscire ad alzare l’asticella in un contesto fantastico del genere è un peccato capitale. Roba da peracottari.