TAORMINA – Archiviato il San Valentino con il gran pienone degli assaltatori nei parcheggi, Taormina si prepara a vivere il Carnevale 2025 con la passione e la dedizione che, come sempre, ancora una volta, ci stanno mettendo i carristi per preparare i carri e i costumi. Sono loro l’anima di un appuntamento che segna un momento di gioiosa allegria e fiera spensieratezza per chi la sfilata la mette in scena e per chi poi se la gode da spettatore. Un momento di vibrante condivisione collettiva. Ma non occorre essere discendenti di Einstein per immaginare che il Carnevale a Taormina forse potrebbe essere uno di quei pochi veri momenti concreti per allungare la stagione turistica. Anzi, per dirla in termini più corretti: per anticipare di un paio di settimane il via alla nuova stagione.
Così scrive il Corriere del Veneto del Carnevale di Venezia che è già iniziato da un po’: “Venezia assediata per il Carnevale, 150 mila turisti in città nel weekend: ingorgo sul ponte di Rialto”, “San Valentino, sole e Carnevale. Un mix perfetto per attrarre i 150 mila turisti che nello scorso fine settimana si sono riversati a Venezia, con polemiche da parte di residenti e associazioni che chiedono che venga posta una soglia limite. «La situazione era sotto controllo e non ci sono stati momenti di criticità, sapevamo che sarebbero arrivate molte persone per il Carnevale e ci eravamo preparati da tempo», dice il prefetto di Venezia. Domenica, in occasione del corteo acqueo capitanato dalla Pantegana con un centinaio di barche storiche e un migliaio di vogatori, in migliaia si sono fermati sul ponte di Rialto per vedere la conclusione del corteo. Video e immagini della zona bloccata dalla quantità di persone hanno iniziato a proliferare nei social dando inizio a molte polemiche. Solo domenica sono arrivati a Venezia circa 60 mila turisti”.
Ben premesse e sottolineate le differenze e le peculiarità di Venezia e Taormina, emerge chiara e indiscutibile una cosa: a Venezia il Carnevale è iniziato con largo anticipo. A Venezia il 16 febbraio era già Carnevale con le strade piene di gente, mentre a Taormina si faceva la conta dei posti auto riempiti, un larga parte delle attività economiche erano ancora chiuse e in paese si accoglievano i ritardatari di San Valentino per celebrare l’amore con la passeggiata e un paio di selfie. La serata s’animava quindi con una partecipata ballata in piazza IX Aprile e si chiudeva con le ultime cavalcate di cuore, di nuovo nei parcheggi, o magari nella famosa Via Fleres illuminata per l’occasione. Fine delle trasmissioni.
E allora a Taormina, terra promessa del turismo dove la “destagionalizzazione a chiacchiere” è materia d’alta scienza infusa che partorisce fiumi di esperti a chilometro zero come fosse la ricerca del Santo Graal, forse bisognerebbe rivedere l’approccio al Carnevale con due-tre mosse semplici. Poche cose, facili e scolastiche, ma che potrebbero centrifugare le abitudini taorminesi e ribaltare il senso dell’evento stesso, aprendo una prospettiva degna di nota rispetto all’indotto e alle scelte da parte degli operatori turistici. Il Carnevale va programmato e annunciato un anno prima e non tirato fuori dal cilindro 15 giorni prima della sfilata dei carri. Venezia fa scuola, basta seguirne le scia per trovare la via maestra. Idem Acireale.
Sulla base dei numeri che oggi ha in cassa il Comune, a partire dai quasi 5 milioni di euro dell’imposta di soggiorno (in teoria finalizzati al turismo), si dovrebbero destinare risorse assai più significative di un contributo da “mancia con pasta e fagioli” ai carristi. Serve un incentivo vero e adeguato per mettere gli attori locali nelle condizioni di fare ancora meglio nel lavoro, encomiabile, che vede impegnati i gruppi nella preparazione non solo dei carri ma di vestiti e costumi che rappresentano un “unicum” o quasi nel panorama siciliano. Ed è un qualcosa che poi conquista, senza alcun dubbio, l’attenzione dei turisti e ne trasferisce la passione e il valore del prodotto. La sensazione che rasenta la certezza è una sostanziale sottovalutazione della valenza e la qualità di ciò che realizzano i carristi a Taormina, dove i vari partecipanti al Carnevale riescono sul serio a rendersi protagonisti di un piccolo miracolo. Figurarsi se avessero a disposizione maggiori risorse. Ed è anche la sottovalutazione sostanziale dell’impatto che un Carnevale allargato, nelle date e nei contenuti (coinvolgendo pure le frazioni), potrebbe generare sul turismo in città. Altrove si punta su tre settimane di eventi, qui ci si limita al “compitino” di far fare le due sfilate e un paio di eventi collaterali. Punto e arrivederci.
Il Carnevale a Venezia sarà sempre un’altra cosa, e anche Acireale è avanti e tuttavia quest’ultimo è un esempio illuminante che dista soli 41 km. A Taormina ci si autoconvince di essere l’ombelico del mondo e invece a mezz’ora da qui le idee brillano e declinano in termini straordinari cioè che Taormina non vuole o non sa fare.
Eppure Taormina avrebbe tutto ciò che occorre per costruirsi tre settimane vere di Carnevale, inteso come format turistico. La riflessione è sul dove si vuole andare, anche perché poi il Carnevale si dimostra pure uno di quei pochi momenti in cui i taorminesi stessi si ritrovano e trascorrono giornate insieme, una finestra di condivisione umana degna di nota ed importante in primis per l’aggregazione dei giovani. Tanto più nell’era apatica della tecnologia in cui non ci si parla più e tutti, dalla mattina alla sera, sono intenti solo a fissare lo schermo dello smartphone e ad immergersi nell’arena letamaia dei social.
Si dovrebbe rielaborare la strategia e ripensare il da farsi, nei tempi e nei modi. E’ una questione di volontà e lungimiranza e nessuno tiri fuori la storiella trita e noiosa del dissesto e dei lacci del dopo-dissesto, perché i soldi ci sono e c’erano anche prima: vedi i 450 mila euro per il Natale, che – allo stesso modo del recente San Valentino – impiegati nella modalità attuale non spostano una virgola nell’economia della città. Così sono risorse buttate via. Niente di più e niente di meno.
Fare meglio si può e si deve. Senza accontentarsi di riempire il Corso Umberto in modalità last second la domenica e il martedì e tanti saluti all’anno prossimo. Per cambiare passo – repetita iuvant – va cambiata, intanto, la mentalità e avere il coraggio di fare squadra e condividere il percorso. Scrollarsi di dosso l’approccio “fai da te” alla programmazione, rispetto all’offerta da mettere in campo e alla valorizzazione delle reali potenzialità che il territorio ha nel suo dna. Altrimenti poi tutto si riduce al teatrino di una meta turistica che fa buon viso a cattivo gioco, al suo interno resta chiusa a riccio e vanifica le chance di crescita in nome di personalismi e veleni, antagonismi e presunzioni, limitando il risultato finale all’autocelebrazione in un palcoscenico a platea ristretta. Oltre il friccico ner core delle standing ovation dei cortigiani e i sold-out tra assaltatori e le ballate con le comitive “Mariuccia”, il mondo è grande. Basterebbe aprire gli occhi e la mente per vederlo.