HomeEditorialiAlmasri, farsa all'italiana in Parlamento: così Meloni ha scansato la "mela avvelenata"

Almasri, farsa all’italiana in Parlamento: così Meloni ha scansato la “mela avvelenata”

L’informativa alle Camere del Governo italiano in merito al caso Almasri diventa impietosamente la cartina di tornasole della sceneggiata politica e mediatica che da giorni agita la politica italiana e trova il solito effetto batteria nei vari “cassamortari” di turno dell’informazione italiana che cavalcano l’onda di una polemica che sarebbe potuta durare 5 minuti e invece si trascina come un disco rotto paralizzando i lavori parlamentari.

Tutto si può dire a Giorgia Meloni, tranne che mettere in discussione di aver agito correttamente su una vicenda in cui qualcuno ha messo una “mela avvelenata” nelle sue mani e ha lanciato una palla infuocata nel campo dell’Italia. E invece si fa finta di non realizzare che il primo ministro italiano ha fatto l’unica scelta sensata che avrebbe potuto fare. Premesso e sottolineato a lettere cubitali che il signore di cui si parla, Almasri, si è macchiato di reati gravi e non si tratta evidentemente di un “gentiluomo”, è altrettanto vero che quei reati non li ha commessi in Italia e la sua vicenda giudiziaria non compete al nostro Paese.

E qui ovviamente si dirà: con la richiesta di arresto della Corte penale internazionale come la mettiamo? In una maniera molto semplice, come hanno spiegato i ministri Nordio e Piantedosi in Parlamento. C’era una questione di “sicurezza nazionale”, che tradotta e decodificata in lingua italiana, per chi fa finta di non capirlo, significa che trattenere Almasri in un carcere italiano avrebbe scatenato di conseguenza l’inferno con reazioni non preventivabili ma potenzialmente gravi nei confronti dell’Italia. Chi può garantire che non ci sarebbe stata qualche azione criminale, con una bomba o un sequestro di persona, in Libia ai danni dell’Eni e dei lavoratori italiani? Chi può dire con certezza che non ci sarebbero state ritorsioni in Italia con qualche “lupo solitario” ed il pericolo di attentati? La gravità del caso si commenta da sola e va da sé che l’Italia si sarebbe imbucata in un tunnel molto pericoloso, immolandosi come agnello sacrificale sull’altare del finto moralismo a corrente alternata dell’Europa.

Almasri ha girato indisturbato mezza Europa. E’ passato dalla Germania, lo hanno fermato lì e identificato per poi lasciarlo andare. Ha un permesso di soggiorno decennale negli Usa ed è protetto dalla Turchia. Poi appena è entrato in Italia è scattato il cartellino rosso. Casualità che quel cartellino sia stato alzato proprio nel momento in cui ha varcato il confine italiano? Forse no, o magari sì. Perché non è difficile immaginare che Giorgia Meloni sta dando fastidio nei palazzi che contano di un’Europa abituata a vivere sull’asse Germania-Francia, con l’Italia al traino e relegata ad eseguire passivamente lo spartito dei “padroni”. In questa fase Meloni si è ritagliata un posto che conta agli occhi dei leader esteri, sino ad essere l’unico primo ministro del Vecchio Continente invitata e presente alla cerimonia di insediamento del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Paradossale o grottesco diventa sentir parlare oggi quelli che lamentano un atteggiamento “servile” della Meloni, invitandola a pensare di più all’Europa: la stessa Europa che se n’è fregata altamente dell’Italia per lunghi anni, quando a Bruxelles “minacciavano” di mettere la troika, brandivano l’arma dello spread come una clava sul destino dei governi di centrodestra e dettavano l’agenda politica ed economica dell’Italia come fosse casa loro.

Vale la pena ricordare, inoltre, che gli accordi con la Libia risalgono al 2017, governo di centrosinistra guidato dall’allora premier Gentiloni, nell’anno insomma del G7 a Taormina, con Marco Minniti ministro degli Interni. Quel Minniti a cui forse andava dato atto e merito di aver svolto bene il suo lavoro e che si potrebbe considerare uno dei migliori inquilini del Viminale degli ultimi 30 anni, capace di operare con perfetto equilibrio tra il giusto senso di umanità ed il dovere del rigore, e invece scaricato e marginalizzato dalla politica che conta. Dimenticato dalla sinistra. Non si sa perché o forse si capisce bene il motivo.

Gli accordi Italia-Libia sono stati rinnovati nel 2023 dal governo Meloni ma prima ancora nel 2020 dall’allora governo Conte, la cui linea adottata in quel periodo è stata definita “cinica” dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. Le intese, insomma, con gli stessi personaggi di oggi ieri andavano bene e oggi no. E Almasri, inoltre, lo ha scarcerato una corte d’appello, quindi i giudici, non la Meloni o il governo italiano. Ecco perché vedere il furore che ora agita le opposizioni in Parlamento con i vari avversari della Meloni impegnati nell’arringare come agguerriti finti tonti, è un teatrino di bassa serie che si traduce nell’ennesima polizza a garanzia sull’operato della Meloni. Più la attaccano su queste basi e più la fanno salire nei sondaggi a dispetto dei problemi che pur ci sono eccome nel centrodestra.

E allora la soluzione del caso Almasri era tenerlo in Italia e “regalarsi” qualche attentato? No grazie. Meloni dovrebbe riferire in Parlamento esattamente cosa? Bastano e avanzano le spiegazioni date da due ministri, Nordio e Piantedosi, definiti addirittura “prestanome” e destinatari di una sequenza di attacchi e insulti come se fossero due scappati di casa, quando invece – al di là delle casacche politiche – si tratta di un magistrato e un prefetto che la materia la conoscono e queste dinamiche le hanno già vissute e affrontate dall’altra parte della barricata, al di là dell’attuale veste politica.

La “mela avvelenata” del torturatore libico è stata rispedita al mittente. La sicurezza nazionale viene prima di tutto. Il resto è la solita caciara all’italiana che lascia il tempo che trova. L’ennesima sceneggiata che non appassiona la gente e semmai la fa incazzare ancora di più, nella consapevolezza che il furore dello scontro andrebbe riservato ad altre priorità.

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