TAORMINA – Arrivano Louis Vuitton, Dolce & Gabbana e gli altri, e a Taormina c’è chi parte in quarta e prende spunto per dare avvio a un’ondata senza freni di aumenti dei prezzi degli immobili. Archiviato il biennio dell’emergenza Covid, che aveva arginato per ovvi motivi gli istinti più famelici, riesplode il “papponismo” a briglie sciolte dei proprietari di immobili, pronti ad aumentare all’inverosimile i prezzi e ad imporre locazioni esorbitanti. “Qui siamo a Taormina”, un mantra rafforzato nella sua versione 2.0 dalla formula “A Taormina ora ci sono i negozi di lusso”: due frasi che da sole valgono tutto e rendono possibile anche l’impossibile, legittimando il tentativo di spremere l’acquirente di turno.
C’è chi dispone della titolarità di piccoli immobili e li catapulta in un’altra dimensione, alzando all’inverosimile la valutazione economica di un paio di metri quadrati perché il bene in questione si trova a pochi metri dal top brand di turno e quindi il fattore del “vicinato” spinge a proporre richieste esorbitanti. Un piccolo esercizio che non ha nemmeno un ventesimo della metratura o del valore storico del Mocambo viene valutato come una miniera d’oro. Tutto diventa un’opportunità per confezionare condizioni economiche da capogiro, perché quelli del lusso sono “ricchi e fessi”, pur di aprire a Taormina pagherebbero uno sproposito anche per un buco.
Questa è la logica che arma i sogni di gloria dei papponisti di turno, pronti a speculare sulla new era di Taormina e a cavalcare di gran carriera l’onda lunga del turismo di lusso che invade Corso Umberto, ma soprattutto intenzionati a sfruttare il marchio Taormina (quello mai istituito dal Comune…) per i propri interessi. E tutto sommato ci può pure stare, perché alla fine detenere la proprietà di un immobile consente di avanzare qualsiasi richiesta, è espressione assoluta di libertà e c’è poco da sindacare. Ognuno in casa propria può fare quello che vuole, anche se poi c’è il rovescio della medaglia.
Il gran galoppo dei prezzi nel settore commerciale rischia di produrre effetti devastanti che Taormina pagherà non tanto nel breve termine ma a media e lunga scadenza. Bisogna fare una riflessione e provare a comprendere dove porterà questa tendenza a moltiplicare la valutazione di immobili che sino a ieri venivano affittati a 4-5 mila euro al massimo, ora riposizionati sul mercato ad un nuovo livello che si arrampica addirittura sino a parametri da 20 mila euro al mese. Chi reggerà questo gioco perverso?
La sensazione, abbastanza chiara e netta, è che qualche ricco con le mani bucate ci sarà ancora e vorrà piantare la sua bandierina a Taormina, ma diversi altri non si faranno prendere per la gola e nemmeno per il deretano. L’esempio arriva già in queste ore con lo stop alla possibilità che si era prospettata di un’apertura a Taormina di Armani, che ha deciso di non assecondare richieste esagerate sul canone di locazione.
Quelli del lusso hanno i soldi, tanti soldi, e di fronte ad aziende di livello mondiale, i proprietari di immobili chiaramente non possono vestire loro i panni di una succursale dell’Opera Pia, ma allo stesso modo non si può pensare di accendere il tasto “fottiamoli”, pretendere la luna e “cannibalizzare” Taormina imponendo locazioni alle stelle, che poi andranno a colpire tutti. E se domani o tra due o tre anni, poi i top brand del caso dovessero decidere di stancarsi e lasciare la città, chi potrà riaffittare quegli stessi immobili a quelle stesse somme bestiali? Nessuno, anzi no. Subentreranno soltanto quelli del club del risciacquo che, da altre province siciliane e oltre lo Stretto, in diversi casi avevano preso d’assalto Taormina a partire dai primi anni del Duemila, quando si avvertivano i primi segni di cedimento dell’imprenditoria locale.
Il paradosso è che Taormina rischia di accompagnare alla porta gli “antipatici” ricconi del lusso, per poi riavvolgere le lancette del tempo e riconsegnarsi di nuovo ai pirati della lavatrice. Attenzione perché quella e non altra diventerà la prospettiva. I soldi delle grandi firme, brutti e spocchiosi per quanto possano sembrare ai soliti criticoni, sappiamo con certezza di chi sono e da dove provengono. Taormina deve fare una scelta di campo e capire in che direzione vuole andare, a meno che la volontà non sia quella di riconsegnarsi di nuovo ai finti ricchi, ai tamarri e saltafossi d’annata che sino a qualche tempo fa venivano a prendersi pezzi di città battendo un colpo di centrifuga e buonanotte ai suonatori. Alternative non ce ne sono, perché il tessuto produttivo locale, tranne pochi esempi virtuosi, si è squagliato ed è praticamente defunto, anche perché nel frattempo molti taorminesi che hanno fatto la storia di Taormina sono passati davvero a miglior vita (e oggi si rivoltano nella tomba). L’imprenditoria taorminese è stata ormai spazzata via e chi è rimasto in piedi non può avere la forza di tappare i buchi e colmare l’enorme voragine che si è creata.
Si tratta, insomma, di darsi una calmata e trovare un punto di equilibrio e di sintesi tra il diritto di chiedere quel che si vuole e il dovere, però, di non forzare la mano con i prezzi. L’esagerazione è un atteggiamento che non porta mai da nessuna parte. E’ il bivio ineludibile di una città che, d’altronde, fa un’enorme fatica ad avere il senso della realtà ed è storicamente abituata a martellarsi spesso e volentieri i maroni da sola, terra fertile di eccessi e controsensi, con tante ambizioni frustrate da una mentalità paesana che stride con la vocazione al turismo internazionale. E’ l’eterna grande zavorra di Taormina, un freno totale sulla strada che porta ai sogni di gloria.